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Perché non eravamo pronti

Perché non eravamo pronti

Nel 2006 è ancora ben lontana dal concretizzarsi la possibilità che un virus possa trasmettersi da un animale selvatico all’uomo e in seguito passare da un uomo all’altro, al punto da dare inizio a una pandemia globale. Una simile idea è percepita ancora come fantascientifica. Ali S. Khan epidemiologo del National Center for Zoonotic, Vector-Borne, and Enteric Diseases (NCZVED) ad Atlanta è esperto di “patogeni speciali”, ne è persino affascinato e li considera una sfida irresistibile per la capacità che hanno di tenere in allerta costante gli scienziati, proprio in virtù della loro imprevedibilità e pericolosità. Khan si è occupato dell’epidemia di Ebola esplosa a Kikwit nel 1995 (Zaire): dai metodi di trasmissione alle misure di controllo, fino a individuare il paziente zero da cui era partito il terribile contagio. Ma se l’Ebola è ritenuta una delle malattie più terribili al mondo, per Khan all’epoca è la SARS a essere davvero terribile. Individuata nella Cina meridionale nel 2003 si manifesta con una “sindrome respiratoria acuta grave” che può condurre il paziente colpito a una polmonite mortale. Su ottomila persone contagiate il 10% ha perso la vita, in seguito l’epidemia è cessata: “La SARS era il proiettile che aveva sfiorato l’orecchio dell’umanità”. Dal 2006 al 2020 molto è cambiato. Khan è il direttore del College of Public Health del centro medico dell’Università del Nebraska a Omaha. Nel corso degli anni ha viaggiato in diversi luoghi, anche tra i più remoti, per fronteggiare epidemie e raccogliere dati, chi meglio di lui può rispondere alla cruciale domanda su cosa sia andato storto nel fronteggiare il COVID-19? Tutto è dipeso dalla “mancanza di immaginazione”...

In questo breve, brevissimo saggio (quasi un opuscolo) incentrato per lo più sulla figura dell’epidemiologo Ali S. Khan, intervistato in più occasioni nel corso degli anni, David Quammen tenta di dare risposte relative alla insoddisfacente reazione e gestione a livello sanitario dell’epidemia di COVID-19 che da un paio d’anni sta tenendo in scacco il mondo intero. Non si tratta unicamente della perdita ingente di vite umane con tutte le polemiche annesse (oggi si parla di oltre 5 milioni di morti secondo i dati raccolti), ma anche di valutare l’impatto della pandemia a livello sociale, economico e umano. E allora, si domanda Quammen, che cosa è andato storto? Mancanza di organizzazione e percezione del pericolo? Mancanza di fondi per gestire l’emergenza o errori nel gestire e condividere le informazioni? Perché sembra che nonostante l’allerta iniziale da parte degli addetti del settore (virologi, epidemiologi, ricercatori ben preparati, coloro che di malattie infettive se ne intendono), ci sia stata una certa lentezza nell’approcciarsi al problema da parte di chi doveva prendere decisioni pratiche. Il saggio riporta testimonianze e propone le considerazioni personali dell’autore. Per chi ha già letto l’osannato Spillover, questo può essere un approfondimento ulteriore, ugualmente interessante per chi ancora non ha avuto modo di confrontarsi con gli scritti di Quammen.