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Perla nera

Perla nera

Manihiki, Isole Cook, 1990. Kiona e la sua famiglia sono in piena raccolta delle ostriche quando uno yacht si incaglia nella barriera corallina. Il naufrago, un papa’a biondo dalla pelle chiara e gli occhi color acqua, è disidratato e ferito e resta ricoverato incosciente per giorni nella clinica di Tukao di mamma Evelyn. Nel frattempo il lavoro continua, e Kiona si immerge per raccogliere le Pinctada margaritifera coltivate dalla famiglia Matavera per le preziose perle nere. A Kiona piace lavorare alla fabbrica di famiglia, la laguna è la sua cattedrale, i coralli le colonne di pietra cesellate, le correnti marine sono canti e la superficie in alto la volta celeste degli angeli. Si rifugia nella buia profondità che la avvolge quando scende in apnea fino a trenta metri, dove la carenza di ossigeno diventa analgesica e spegne i dolori che la accompagnano dalla morte della sorella Moana, di cui si sente responsabile portando “la colpa come una seconda pelle”. Dà una mano anche a mamma Evelyn in clinica, e la sua vita scorre lenta e regolata dai ritmi della comunità indigena, finché l’arrivo del naufrago svedese cambia gli equilibri e rivoluziona le aspettative, aprendole una finestra sul Mondo e amplificando il desiderio di lasciare Manihiki. Erik sull’isola sfrutta le sue competenze in campo economico e si occupa della contabilità di diversi coltivatori di ostriche, ma non riesce ad integrarsi appieno nella comunità. È un uomo pacifico e taciturno, ma nasconde un segreto...

Perla nera si sviluppa su quattro continenti, seguendo il percorso di Kiona in un’avventura pericolosa ed emozionante alla ricerca di Erik Bergman e dei suoi segreti. Ogni sezione è narrata in uno stile che rispecchia l’ambientazione: lento e caldo a Manihiki, molto descrittivo, dove sembra di potersi immergere nell’acqua fresca della laguna all’alba e dove lo sciabordio dell’acqua dondola le canoe, il sole arroventa la pelle salata e i tramonti sono immensi, silenziosi e calmi. La narrazione poi prende velocità per adattarsi invece ai ritmi frenetici di Los Angeles e Londra, delle loro zone grigie, il traffico e la folla brulicante. Fino ad arrivare alla cadenza lenta della Tanzania, “la culla dell’Homo sapiens”: polvere, gente, colori, spezie, carri trainati da asini e musica. Le descrizioni ridondanti, a scapito dei dialoghi di cui viene fatto scarso utilizzo, unite a un uso sapiente di termini in lingua originale creano uno stile narrativo denso, corposo, morbido. “La kiona era una specie di grande farfalla notturna, una brutta falena che volava in modo inelegante e spesso si impigliava in grosse ragnatele” ma “sta per indipendenza e posizione” e il nome rispecchia infatti la personalità della protagonista, che grazie a un amalgama di curiosità e coraggio, ingenuità e buon cuore, impara a sue spese che “La gente fa qualsiasi cosa per soldi”, e si imbatte in violenza, droga e AIDS, degrado e corruzione, per rendersi infine conto che “la solitudine è uguale dappertutto”.