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Pestaggio di Stato

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I fatti accaduti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere il 6 aprile 2020 hanno una genesi precedente. Il 26 febbraio, il capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Francesco Basentini firma una circolare atta a sospendere i colloqui in carcere, sostituendoli con quelli a distanza tramite Skype. Questo in ottemperanza alle norme emergenziali dovute al Covid. La mancanza dei colloqui in presenza si fa sentire. Un detenuto aspetta quel giorno, si prepara, si rade con cura, è un modo per essere ancora presente nel mondo di fuori e con i propri affetti. In carcere non arrivano né mascherine, né tamponi, spesso neanche per gli agenti. Nei giorni 7, 8 e 9 marzo esplode il caos nelle carceri italiane: Salerno, Poggioreale, Foggia, Melfi, Modena, Bologna, ci scappa anche qualche morto. Questi detenuti costituiscono l’anello meno significativo della catena criminale, sono piccoli spacciatori e tossicodipendenti. I colletti bianchi non sono in carcere, chi ha buoni avvocati non è in carcere, malati veri e sofferenti restano dentro. Il carcere Francesco Uccella di Santa Maria Capua Vetere è fatto di storie piccole, di gente che non ha denaro neanche per comperarsi gli occhiali da vista. Inaugurato nel 1996, avrebbe dovuto essere una struttura d’eccellenza; invece, non ha neanche l’acqua potabile e il vitto è inadeguato. Lo psichiatra non c’è e lo psicologo arriva raramente, gli educatori sono solo cinque, gli agenti effettivi 485 e tutto grava sulle loro spalle. Il 4 aprile, dopo il primo morto di Covid, si sparge la voce che ci sono dei contagi al reparto Tamigi. I detenuti si agitano e chiedono mascherine di protezione, inizia così la protesta. Che viene fatta rientrare, ma come?

Il libro inchiesta di Nello Trocchia Pestaggio di Stato ricostruisce dettagliatamente ciò che è successo nel carcere di Santa Maria Capua Vetere il 6 aprile del 2000. Quel pomeriggio 283 agenti della polizia penitenziaria muniti di caschi e manganelli, alcuni a volto coperto, entrano nel reparto Nilo del carcere Francesco Uccella. Irrompono nelle celle e prendono a calci, pugni e schiaffi i detenuti. Alcuni vengono rasati a forza; il pestaggio dura ore, prosegue nei corridoi e lungo le scale. Già il 29 giugno 2021 Trocchia, sul sito del quotidiano “Domani”, ha pubblicato il video delle violenze, che non ha bisogno di tante spiegazioni. La necessità dell’autore di ampliare commenti e ricerche in un libro, nasce dall’esigenza di fare memoria, di sollevare il velo sui tanti insabbiamenti. Quelle violenze sono state programmate, volute, e poi coperte lungo tutta la catena di comando interna all’amministrazione penitenziaria, ma anche nei palazzi del potere. Una violenza a cui è seguita la connivenza e il silenzio di tutta la classe politica, da destra a sinistra. Il carcere oggi non funziona, campanello d’allarme è l’alto tasso di suicidi. È un luogo di violenza, un serbatoio criminale ben lontano da ogni forma di riabilitazione, psicologica o lavorativa. Carceri che sono affari, appalti per il vitto e le forniture, lucro su lucro a discapito di chi lì deve scontare una pena. Questo libro serve ad interrogarsi e parlare. Il carcere non è altro da noi, ma lo specchio di una società che si definisce civile. Nello Trocchia con il suo Pestaggio di Stato dà un esempio di giornalismo investigativo e una volta ancora dimostra quanto sia importante per la salute di una democrazia. Con un argomento che, difficilmente fa presa, l’autore porta il lettore fin dentro le mura del carcere di Santa Maria Capua Vetere per constatare con mano quell’orrore e le menzogne che ne sono conseguite. I fatti narrati si verificano nel ventennale dal G8 di Genova, stesso orrore della Scuola Diaz, stessi meccanismi punitivi e violenti. Lo Stato non può e non deve essere intoccabile. Questo è il tema centrale del libro in un momento storico in cui i diritti umani sono al centro della vita politica e sociale. Indossare la divisa delle Forze dell’Ordine implica una maggiore responsabilità, non certo l’immunità da qualsiasi comportamento criminale.