
Non è solamente “la madre di tutte le stragi”. È stato anche il primo atto di “una guerra psicologica e non ortodossa”, l’esordio di un disegno eversivo e criminale dai contorni foschi e complessi. A subirne le conseguenze cittadini inermi, vittime loro malgrado di un esercito diverso da quelli tradizionali ma altrettanto o forse più forte e ben addestrato. Le vittime, persone che non hanno colpe se non quella, se così possiamo definirla, “di trovarsi nel momento sbagliato nel luogo sbagliato, una banca, un treno, una piazza, una stazione…”. Quel 12 dicembre 1969 nella banca nazionale dell’Agricoltura a Milano una bomba provoca 17 morti e 88 feriti. Porta orrore, dolore. Giancarlo Stiz in quegli anni è giudice istruttore a Treviso, Pietro Calogero pubblico ministero. È il 1971, entrambi incappano in un fascicolo destinato a cambiare la loro vita per sempre. Riguarda la cosiddetta “pista nera”, quella che porterà a far emergere le responsabilità del terrorismo neofascista nell’ambito della strage. Negli anni tra il 1969 e il 1984, in Italia avvengono ben otto attentati dalle caratteristiche simili: oltre a piazza Fontana, stazione di Gioia Tauro, 22 luglio 1970, Peteano, 31 maggio 1972, questura di Milano, 17 maggio 1973, piazza della Loggia a Brescia, 28 maggio 1974, Italicus, 4 agosto 1974, stazione di Bologna, 2 agosto 1980, rapido 904, 23 dicembre 1984…
“Io lo so. Noi sappiamo. Basta con la retorica dei ‘misteri d’Italia’. Abbiamo indizi e anche prove che ci dicono chi mise le bombe”. Comincia così Gianni Barbacetto questo volume dedicato alla strage di piazza Fontana e a tante altre stragi che hanno insanguinato l’Italia in quegli anni nerissimi. È nettissimo, implacabile. Non accetta scusanti, infingimenti, espressioni edulcorate. Non fa sconti a nessuno. Non usa mezze parole, parla di depistaggi, protezioni, coperture. Indica responsabili. Perché, sottolinea con forza, i responsabili esistono. Così come ci sono state tante, tantissime vittime, a causa di quegli attentati. Centocinquanta, oltre seicento i feriti. E poi ci sono quei magistrati che con il loro lavoro, mettendo a rischio incolumità e carriera, hanno lottato perché la verità venisse a galla. Una prima generazione, “Giancarlo Stiz e Pietro Calogero a Treviso, Giovanni Tamburino e Luigi Nunziante a Padova, Gerardo D’Ambrosio, Emilio Alessandrini e Luigi Fiasconaro a Milano, Domenico Vino e Francesco Trovato a Brescia, Claudio Nunziata, Libero Mancuso, Vito Zincani e Sergio Castaldo a Bologna, Rosario Minna e Piero Luigi Vigna a Firenze, Mariano Lombardi, Gianfranco Migliaccio ed Emilio Ledonne a Catanzaro…”. Tutti coloro che magari non hanno raggiunto i risultati che speravano ma “hanno spezzato le prime dighe, smascherato i primi depistaggi, raccontato i fatti, svelato i nomi delle persone coinvolte, raccolto una mole imponente di dati conoscitivi”. E poi una seconda generazione, “Leonardo Grassi e Paolo Giovagnoli a Bologna, Cuno Tarfusser a Bolzano, Gianpaolo Zorzi, Michele Besson, Roberto Di Martino e Francesco Piantoni a Brescia, Carlo Mastelloni e Felice Casson a Venezia, Maria Luisa Dameno, Guido Salvini, Grazia Pradella e Massimo Meroni a Milano…”, che hanno lavorato in un’altra fase storica, “negli anni in cui cadevano i muri e sembrava che si potesse finalmente arrivare a conoscere la storia sotterranea d’Italia, da piazza Fontana alla strage di Bologna, dalla P2 a Gladio”. Barbacetto parla di loro e del loro lavoro. Non c’è solo piazza Fontana nel suo libro ma ci sono anche tutte le altre stragi che hanno colpito al cuore il nostro Paese. La sua penna di giornalista di inchiesta affonda nella carne e nelle viscere della storia italiana, dà voce a tanti protagonisti di queste vicende e descrive quegli anni con precisione, facendo emergere una grande ricerca e una profonda conoscenza dei fatti narrati. Racconta, come se fosse un dovere, per ricordare, per non dimenticare mai.