
Ruth Jefferson lavora come ostetrica da oltre vent’anni presso il Mercy-West Haven Hospital. Figlia di una domestica di umili origini, ha dovuto fare molti sacrifici per arrivare dove è ora, ad avere una vita dignitosa, onorabile; un figlio che eccelle a scuola e ha giudizio; una professione che ama con tutta se stessa e la circonda di stima e soddisfazione. Un giorno il mondo precipita. In reparto arriva una giovane donna, Brit, che partorisce un bimbo sano. La circoncisione, l’arresto cardiaco, Ruth, che si trova ad essere nel luogo in cui non dovrebbe, l’inutile tentativo di rianimare quel corpicino... L’accusa di omicidio colposo e volontario. Il baratro, l’incubo, l’inferno, finché un’avvocata anticonvenzionale che di nome fa Kennedy prende a cuore il caso che tra infiniti le è piombato d’ufficio e inizia a preparare le carte della difesa. Come andrà finire la vicenda? Riuscirà la determinata giurista a togliere dai guai e dalla disperazione una donna assolutamente innocente?
Lo scopriremo in questo avvincente romanzo, che accosta una storia in perfetto stile giallo, con tanto di suspense, ritmo serrato, dubbi e inquietudine a un thriller di matrice psico-sociale, potremmo dire. Sì, perché, non l’abbiamo svelato in principio, ma la questione non è da sottovalutare, trattasi di vicenda ad altissimo tasso omofobico! Ruth, signore e signori, è nera. E i suoi accusatori, marito e moglie, oltre che bianchi, sono violenti e fanatici naziskin, a caccia di carne da macellare. L’Alabama degli anni '30, quella dell’America della Depressione, raccontata magistralmente da Harper Lee nel 1960 ne Il buio oltre la siepe, ritorna evocata nella corrente opera di Jodi Picoult, classe 1966, regina delle classifiche americane e penna rinomata di esplosivi bestseller. Il libro qui non vanta l’originalità della sua predecessora, ma d’altra parte neanche il razzismo è fatto inusuale, purtroppo per l’umanità. Ciò che appassiona in Piccole grandi cose è il punto di vista su una medesima situazione, che ci viene riproposto attraverso tre differenti voci: quella di Ruth, quella di Turk, il padre, infine quella di Kennedy. L’introspezione psicologica, il dramma motivato e argomentato su livelli differenti da questa tripletta. Ecco l’aspetto insolito, intrigante e letterariamente ben riuscito del romanzo. Le partiture narranti si susseguono l’una dopo l’altra e ci rendono partecipi dell’evoluzione della trama, comprese le implicazioni che un finale piuttosto che un altro possano comportare. Il “Washington Post” ha definito il libro: “Il più importante di Jodi Picoult. Onesto, scomodo e di grande attualità. Un’autentica sfida per tutti noi”. Non foss’altro per il titolo, che fa da eco a un grande paladino dei diritti umani, Martin Luther King. È sua la frase: “Se non posso fare grandi cose, posso fare piccole cose in modo grande”. Una citazione che potremmo prendere come sprone, non solo per leggere questo bel romanzo.