
Adesso che Pietro Citati ci ha lasciati alla veneranda età di novantadue anni, nei fedeli lettori dei libri e degli articoli di giornale in cui brillava la sua penna ammaliante di critico letterario si fa più impellente il desiderio di fissare e conservare gelosamente i tratti salienti e per certi versi singolari della mirabile capacità di penetrare nei sottofondi della scrittura, della preziosa opera di indagine e ricostruzione dei romanzi di volta in volta approcciati.
E nel ricordo nostalgico appaiono ancor più rilevanti i contorni di quella incantevole capacità di prenderci per mano e di accompagnarci in straordinari viaggi analitici, in un’eterna itinerante esplorazione condotta attorno all’universo dei libri. Risaltano così, in tutta la loro magnanima limpidezza, le sue eccellenti doti interpretative e di guida, che lo rendevano un Virgilio su cui ogni lettore poteva contare nell’attraversamento delle selve polisemiche delle narrazioni. Anche e forse, soprattutto, la sua indomita caparbietà di discendere nel labirinto per affrontare il minotauro e risalire in superficie per darcene conto attraverso una nuova corposa e non meno avvincente stesura dell’opera.
Tutto questo faceva di Pietro Citati un critico sui generis, un interprete narrativo dotato di una scrittura avvolgente che vantava fedeli e avidi ammiratori, desiderosi di immergersi nella solenne esecuzione dei suoi scritti non meno che in quella dei romanzi stessi da lui presi in esame. Citati era nato a Firenze il 2 febbraio del 1930 da un’aristocratica famiglia siciliana. Si era diplomato a Torino presso il liceo classico Massimo d'Azeglio per poi trasferirsi nel corso della II guerra mondiale in Liguria. Si era laureato nel 1951 in Lettere moderne all'Università Normale Superiore di Pisa. Da allora in poi si consacra alla carriera di critico letterario collaborando con riviste e quotidiani di primaria importanza, da “Il Punto” a “Il Giorno”, dal “Corriere della Sera” fino a “La Repubblica”. E ovviamente redigendo innumerevoli libri che gli hanno acconsentito, anno dopo anno, di accrescere il proprio prestigio tra gli addetti ai lavori e tra i lettori. Non a caso amava associare la propria esistenza a quella di un pipistrello che vive appeso ai libri, che gli sono stati lungo tutto il percorso di vita fedeli, insostituibili e preziosi compagni di una straordinaria avventura letteraria.
Come anticipato, nessun romanzo lo aveva mai indotto ad un atteggiamento statico e contemplativo: tutto in lui si tramutava in una sorta di nuovo racconto, nel quale gli ambienti assumevano atmosfere diverse alla luce della sua abbacinante vena espositiva, mentre i personaggi denotavano sfumature ulteriori di una personalità che si arricchiva del suo talento interpretativo. Perché la caratteristica che più ci ha fatto amare gli scritti di Citati è stata la scelta di concepire il suo mestiere come quello di un orafo, di un laborioso artigiano nella cui bottega smontava e rimontava con delicata pazienza meccanismi e ingranaggi complessi di macchine, nel suo caso narrative, senza mai disperdere l’incanto immenso che da esse proviene.