
È l’antivigilia di Natale e Barbara sostiene che quando di norma si pensa alla Romagna viene in mente gente simpatica che danza il liscio in qualche balera e non solo, ragazze ben disposte con la esse appesantita e vitelloni abbronzati sulla spiaggia di Rimini. Ma esistono anche inverni che non finiscono mai, e nebbie da non vedere nemmeno la punta del proprio naso, figuriamoci oltre quel limite. Le previsioni dicono che sarà brutto anche l’indomani. E questa è la prima cattiva notizia. Dalla finestra del primo piano vede il postino in bicicletta che si ferma davanti al portone giù da basso. Scende, sorride, ritira. La posta. Biglietto della madre con su scritto Auguri, Barbara, l’offerta di un tre per due del discount tramite volantino pubblicitario, la copia di “Vanity Fair” avvolta nel cellophane, una busta bianca priva di mittente che contiene una lettera. La seconda cattiva notizia. Barbara si accorge di non sapere più leggere. Anche Giorgia riceve una busta. C’è scritto solo il suo nome sopra, accompagnato dall’indirizzo in cui risiede, a Milano Marittima. E anche lei è sbigottita. Perché di parole strane ne ha sentite tante. Ma queste messe una di fila all’altra non significano niente, non sono paragonabili a nulla che abbia mai udito prima di ora. C’è un mondo di stravaganze che nessuno immagina. Deve bruciare la lettera. Chiamare Ermes. Ma si sente male. Vomita. Sviene. Didi invece telefona a Ermes. Ma Ermes le risponde di cavarsela da sola. Michele invece è un giornalista di cronaca nera. Senza dignità. Ruba persino dai portafogli dei defunti. Tanto a loro i soldi non servono più. È sempre alla ricerca di un bell’incidente mortale per finire in prima pagine. E guida come un delinquente per giunta. È sempre alla ricerca di cattive notizie, e sostiene che la gente, tutti, lo amino per questo. Perché tutti amano leggere le disgrazie che capitano. Agli altri. Perché tutti in questo modo si sentono ogni volta un po’ più salvi, scampati alla sorte, sgusciati via alla sfortuna. È come sfogliare i necrologi e rallegrarsi del fatto che non si legga nemmeno stavolta il proprio nome, insomma: le cattive notizie sono buone notizie: così dice Gola Profonda…
Peyton Place, Twin Peaks, Cabot Cove, nel Maine – storica ambientazione di Stephen King, ma qui invece la protagonista è Jessica Beatrice Elora MacGill in Fletcher – che le necessità della televisione riproducevano a Mendocino, in California, persino Gubbio, che poi d’un tratto è diventata Spoleto perché il Lone Wolf con la bicicletta che risponde al nome di Don Matteo (al secolo Terence Hill) è ormai da un sacco di tempo una macchina da auditel, soldi, merchandising diretto e indiretto, turismo, visibilità, pubblicità e chi più ne ha più ne metta. Per non parlare di Vigata, la Pineta malvaldiana, la terra di confine tra Veneto e Friuli della splendida Piccola osteria senza parole di Massimo Cuomo: eccetera, eccetera eccetera. Gli esempi potrebbero essere tanti quante sono le gocce nel mare, e d’altro canto i proverbi non sono mai messi lì per caso. Il paese è piccolo e la gente mormora, tradunt. E la provincia è per eccellenza il microcosmo. È come la famiglia. Dinamiche chiare, tutti conoscono tutti, e tutti hanno qualcosa che non vogliono che gli altri sappiano. Questa volta stiamo in Romagna, ma piadina, spiagge e balli non c’entrano niente. È inverno. Siamo tra il ventitré di dicembre e il primo di gennaio. Con una coda il primo di agosto, in verità, ma non sposta più di tanto il baricentro, da questo punto di vista. C’è una nebbia che si taglia con il machete come le liane che si intrecciavano di fronte a Yanez nelle pagine di Salgari. Barbara, Giorgia e Didi sono tre ragazze. Facevano le squillo. E qualcuno comincia a bersagliarle di lettere anonime. Piene di parole non propriamente gentili. Ed è solo l’inizio. Crimini a profusione, e le vite si sovrappongono l’una all’altra. E si tratta di vite che rappresentano in maniera feroce, brutale, schietta, sboccata, ironica, esilarante e geniale i mali della nostra contemporaneità, le ipocrisie, le corruzioni, i vizi privati e le virtù non pubbliche né pervenute, ergendosi dal particolare sino all’universale. In questa versione, che è la rielaborazione di Bad news, edito da Giulio Perrone nel 2011, Davide Bacchilega dà il meglio di sé: parlare di capolavoro non è affatto esagerato.