
Acqua, farina, lievito, condimenti: pizza. Una delle poche parole conosciute in tutto il mondo senza bisogno di traduzione. In Italia siamo al secondo posto per quantità di consumo pro capite (America first!) eppure, come ciclicamente capita ad una categoria di alimenti, grazie ad un titolo buttato lì e fatto rimbalzare in modo esponenziale sul web, arriva la demonizzazione disinformata. A partire dai suoi elementi base: la farina “00” è veleno, il glutine fa male, il lievito buono è solo il lievito madre, la pizza fa ingrassare e le sue bruciacchiature provocano il cancro. E poiché le leggende metropolitane vengono tanto diffuse quanto cavalcate dal marketing dell’industria, ecco che si arriva alle farine di grani antichi (che così antichi non sono) che sarebbero le migliori, al lievito di birra versus lievito madre, alla propalazione di farine integrali (magari reintegrate con crusca proveniente da paesi che utilizzano il glifosato), agli impasti neri, quelli superproteici, al Kamut (che non è un grano ma un marchio inventato negli Stati Uniti) e ad altre patacche. La demonizzazione di un elemento/alimento produce la santificazione di un altro che, voilà, comincia a concretizzarsi in tv, sugli scaffali del supermercato e nei menù vari. Ma quanto se ne sa in realtà, al di là del “dicono che…”? La cattiva informazione produce cattivi clienti. Ed i cattivi clienti si alimentano con le assurde paranoie apparecchiate sulle loro tavole. E per i competenti che non cedono alle mode a volte si fa dura: è ora di fare chiarezza…
Mai foto di copertina e grafica furono, purtroppo, meno azzeccati. Perché questo pregevole trattato scritto con competenza suffragata dalla serietà dei riferimenti (71 link di rimando a fonti autorevoli) rischia, ad una prima occhiata, di essere scambiato per l’ennesimo ricettario da edicola, quasi fosse un supplemento di qualche rivista. Niente di tutto questo. In un’epoca di comunicazione sbrigativa, scarso approfondimento e diciamolo, anche scarso buonsenso, Marco Celeschi riesce spiegare in modo ragionato ciò che i tecnici del settore si trovano ad affermare (in minoranza e controcorrente) inascoltati dagli “informati dai titoli del web” che, ai dati ed alle competenze contrappongono con presunzione apodittica i mantra della vulgata corrente. Non basta leggere su un blog un’opinione sui vaccini per mettersi sullo stesso piano di un medico. Come non basta sentir dire senza argomentazioni che “questo fa male” o “questo fa bene” per diventare tecnici in materia alimentare. Fa bene invece l’autore a portare in libreria il proprio bagaglio di conoscenze che, chiunque avesse voglia di disquisire in materia, farebbe bene a darne lettura. Lettura peraltro resa gradevolissima dal fatto che ogni volta che un trattato analitico viene scritto con preparazione ed intelligenza finisce inevitabilmente per andare al di là della disamina tecnica, assumendo il colore ed il sapore di una riflessione umana, sociale e culturale.