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Post scriptum

Post scriptum

Ogni giorno dopo il lavoro Walter sale verso il Waldhaus. Nulla più che un’agevole passeggiata serale dal paese all’albergo. Così almeno deve apparire. Una volta, guardando in su nella direzione dove suppone debba trovarsi Kupfer, crede di riconoscere un’ombra che si muove dietro la finestra, un’altra volta vede addirittura la tenda che viene scostata e, subito dopo, rilasciata. Non è stato il vento a smuovere la stoffa – la finestra è chiusa, l’aria non può entrare – ma una mano. Walter non dubita che appartenga al celebre attore. Sente che è così, e nulla si oppone al suo intuito. Chissà se anche Kupfer lo osserva, come lui vorrebbe osservare Kupfer se mai riuscisse a incontrarlo, cosa che purtroppo non è ancora successa. Walter può illudersi che Kupfer segua di nascosto i suoi passi, quando lo conducono verso l’hotel. Come ogni illusione, diventa una certezza per far posto a un vago smarrimento il mattino dopo, quando si ritrova dietro al banco della Posta e aspetta i clienti. Perché dovrebbe ingannarsi, del resto? Per molti motivi, come sa bene, pur non essendo pronto a investigarli. Nel corso della giornata la fiducia, a poco a poco, ritorna. Non c’è però nessun elemento che confermi che Kupfer abiti davvero al piano e nella stanza dove Walter da sempre immagina che in realtà risieda. È solo una sensazione. Walter infatti non osa entrare nell’albergo dove alloggia la star del cinema. Non è un ospite e non ha alcun incarico, quindi non ha niente da cercare. Inutile pensare, poi, di chiedere notizie su Kupfer. E anche se osasse farlo non gli darebbero di sicuro nessuna informazione confidenziale. Lui non è il postino. Non è autorizzato ad andare di persona all’albergo, il suo posto è dietro allo sportello dell’ufficio postale. Anche se nella gerarchia sta più in alto del postino, non può consegnare direttamente alla posta. E tantomeno allo scopo di procurarsi un vantaggio. La speranza che il postino e il suo sostituto si ammalino contemporaneamente, cosa che renderebbe necessario un rimpiazzo da parte sua, è più inverosimile a causa della coscienziosità e della buona costituzione dei suoi colleghi. Quindi aspetta un caso fortuito. Pur sapendo che l’attesa sarà con ogni probabilità inutile. Nemmeno al postino è permesso consegnare personalmente la posta a Kupfer…

Lionel Kupfer, che la famiglia ha sempre chiamato Lion, sin da quando era piccolo e suo fratello Tobias non era ancora morto affogato, è il più grande divo del cinema di lingua tedesca. Ma sta per essere costretto a smettere di lavorare perché ha origini ebree. Il nazismo sta prendendo piede, la catastrofe è alle porte, l’esilio una realtà. Per questo passa le giornate in un non luogo, un albergo di Sils Maria, località elvetica dell’Engadina nota ultimamente per uno dei più sopravvalutati film delle ultime stagioni, Sils Maria, appunto, una sorta di Eva contro Eva venuto male con protagoniste Juliette Binoche, Kristen Stewart e gli occhi perennemente a mezz’asta di quest’ultima. Lionel invece ha occhi di ghiaccio, il cui azzurro nello schermo non si vede, che affascinano e conquistano. Ostenta virilità in ogni gesto, anche quando tocca un garofano. È ovvio, è gay. Ha un compagno distante, e intreccia una relazione con Walter, l’impiegato della posta del luogo, che lo desidera da sempre e si procura piacere pensando a lui. Un’atmosfera prostrante di clandestinità, asfittica come i sotterranei del grande e lussuoso albergo dove ai piani superiori i ricchi si godono l’effimero e decadente splendore. Nei corridoi, invece, si lavora, alacremente, si fatica, e tra coloro che si spaccano la schiena c’è Theres. Un personaggio straordinario, commovente. È la madre di Walter. L’ha cresciuto da sola. Il figlio pare vergognarsi di lei. Che è povera. Analfabeta. Lo ama. Ed è preoccupata da quella smania che sembra pervaderlo. Ha trovato lavoro proprio al Waldhaus, e cerca di intessere con lui un nuovo rapporto. Con atmosfere letterarie e cinematografiche che rimandano a Mann, Visconti, Wes Anderson (Grand Budapest Hotel) e tanti altri, oltre a tutta una serie di ulteriori raffinatissimi riferimenti che spiccano fra le righe, Alain Claude Sulzer, pluripremiato critico, traduttore e autore svizzero (Il concerto, sempre per Sellerio), costruisce una narrazione dalla tensione eccezionale. Il romanzo è scritto con precisione millimetrica, e vi viene ritratto con magistrale equilibrio e senza retorica ognuno dei grandi temi e dei grandi sentimenti umani. Il valore dell’arte, il suo significato, la bellezza, il bene, il male, l’amore, la morte, la paura, la vergogna… E quello che davvero colpisce in Post scriptum, appunto, è proprio la caratterizzazione dei personaggi, potentissimi e assolutamente originali.