
Bonaventura Langarrarruni è un imputato sui generis, strano, misterioso, insondabile. Se gli si parla lui ascolta, ma è come se non sentisse e se ci si pone innanzi al suo sguardo vede ma è come se non vedesse. Mentre è recluso in carcere se ne sta tutto il tempo in silenzio, seduto con le braccia penzoloni tra le gambe, lo sguardo smarrito, perso nel vuoto dei suoi pensieri imperscrutabili, senza scambiare parola con nessuno né dare segni di vita. Bonaventura serba un contegno sempre mite, calmo, tranquillo, non reagisce alle provocazioni, non è violento, non crea scompiglio. Non ha precedenti penali gravi, solo diversi furti di cui l’ultimo risalente a ben dieci anni prima e un fatto di ubriachezza, ma nessun reato contro la persona. È davvero un imputato fuori dalle righe. Eppure dietro quest’apparenza di inoffensività si cela un crimine che per la sua brutalità lascia sgomento l’intero paese, che pure è avvezzo a omicidi frequenti e delinquenza diffusa. L’uomo ha infatti ucciso suo figlio Salvatore nel sonno con diciassette coltellate. Il processo viene celebrato a distanza di due anni in Corte d’Assise dopo una rapidissima istruttoria, fatto stranissimo considerati i tempi biblici dei processi italiani. Tutto sembra fin troppo chiaro e lineare e così il giudice istruttore sembra volersi lasciare convincere dalla cristallinità degli eventi e della dinamica dell’accaduto. Il problema è che, nonostante la semplicità degli avvenimenti, non riesce a trovare un movente, la ragione scatenante di tanta brutalità che soccorre ogni qualvolta la prova della colpevolezza scarseggi. Un movente che potrebbe confondersi col tema dell’imputabilità. Perché se anche davanti ad avvenimenti così palesi il movente può essere messo in secondo piano, l’imputabilità va accertata. Un vizio di mente, l’incapacità di intendere e di volere falsata, sono elementi importanti che precludono ogni responsabilità e impediscono il rinvio a giudizio…
È così che prende avvio la lunga e complessa storia narrata in PQM da Lino Ceccarelli, classe 1927 ed ex magistrato. Trattasi di un romanzo a sfondo giudiziario, scritto da chi ha vissuto dall’interno le aule di tribunale e le dinamiche processuali e della giustizia italiana, che si fanno sempre più complesse come complesso è l’agire umano. Un meccanismo giudiziario che nonostante tutto è ancora in grado di custodire uno sguardo umano e comprensivo sul mondo. Quella scritta da Ceccarelli è una storia irta di avvenimenti e riflessioni che si alternano in un perfetto e calibrato equilibrio tra narrazione e approfondimento riflessivo, tra tessitura di vicende e azioni e speculazioni sul seno vero della giustizia. Con uno stile lineare e composito, a tratti verista e a tratti lirico, visionario e plastico, l’autore profonde tutta la propria esperienza di magistrato mettendola al servizio di una storia profondamente umana ed emblematica di tutto ciò che si agita dietro un’azione apparentemente inequivocabile e palese, dietro la commissione di un reato e dietro il male commesso. Un romanzo da centellinare per comprenderne pienamente tutte le implicazioni e per goderne della profonda bellezza.