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Prigionieri del paradiso

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Un Trident inglese sta sorvolando il Pacifico in direzione dell’Australia quando una tempesta lo costringe a un ammaraggio di fortuna su un’isola sperduta dell’arcipelago indonesiano. Oltre all’equipaggio inglese, a bordo ci sono un giornalista, ostetriche, infermiere, medici e tagliaboschi scandinavi, tutti inviati di una missione dell’ONU. Superata l’afflizione dei primi giorni e dopo alcuni tentativi falliti di perlustrazione dell’isola alla ricerca di una presenza umana, il gruppo si dà da fare per organizzare la propria sopravvivenza, anche se con alcune tensioni iniziali: dagli episodi di individualismo sfrenato che portano alcuni ad accaparrarsi il cibo a danno degli altri, alla discussione sul funerale per l’infermiera svedese sbranata da uno squalo, a quella sulla lingua comune da adottare e sull’opportunità che le ragazze vengano equipaggiate di spirale per evitare gravidanze indesiderate. Con grande ingegno e sfruttando ogni oggetto recuperato dall’aereo (addirittura l’ala), i superstiti si organizzano in una comunità ben funzionante, in cui ciascuno ha dei compiti precisi e si studiano pure le lingue. Grazie alle lamiere dell’aereo viene messo a punto un sistema per ottenere il sale dall’acqua di mare, dai giubbotti salvagente viene ricavato un frigo, i tagliaboschi costruiscono una sauna e gli uomini più ingegnosi aprono pure una distilleria. I mesi scorrono sereni, l’isola si rivela un paradiso dove non esistono preoccupazioni né ansie e dove i naufraghi godono della bontà di cibi di ogni tipo, di una garantita assistenza sanitaria e di completa libertà sessuale. Il gruppo però mette a punto un grandioso sistema per farsi notare e lanciare una richiesta di aiuto, anche se non tutti vogliono tornare in Europa…

Prigionieri del paradiso è la storia della nascita di una comunità socialista, in cui non esiste alcuna forma di proprietà né vi sono motivi di scontro: tutto è di tutti, ognuno contribuisce ai bisogni della comunità e al suo funzionamento e in cambio ottiene ciò che gli serve per vivere, secondo un sistema equo uguale per tutti. È quanto nota il copilota Reeves, un conservatore britannico diventato comunista, chiacchierando con il giornalista finlandese narratore del romanzo. Il loro gruppo è riuscito a creare un vero sistema socialista, ben più socialista dei regimi socialisti d’Europa. Ed è quanto spinge alcuni a fare di tutto per rimanere sull’isola. Con il suo stile limpido e piacevole, Paasilinna riesce a trasformare un’avventura che potrebbe essere tragica e devastante in un percorso che porta alla felicità, in un’atmosfera che tutto sommato si rivela serena e spensierata, dove regnano l’armonia e la collaborazione. E il lettore partecipa di quest’atmosfera, sia grazie al racconto di episodi di vita quotidiana sia attraverso la serenità della scrittura di Paasilinna. Non mancano i tratti poco realistici (l’SOS gigante, lo scontro con la marina statunitense) e tutta la vicenda si rivela per molti aspetti utopica, ma il messaggio, caro allo scrittore finlandese, è chiaro: una società più semplice e meno caotica, che recuperi un contatto più genuino con la natura e in cui ciascuno sia parte attiva in maniera uguale agli altri può essere una buona strada per la felicità.