
Ottaviano Malossi, fumando nervosamente l’ennesima sigaretta, maledice il fatto che questo caso sia stato affidato a lui. Un uomo morto sul pendio di fianco alle rotaie. Caduto dal treno in corsa. Omicidio o tragica fatalità? Sarebbe già un bel grattacapo per chiunque. Se non fosse che la vittima è Graziani, pluridecorato generale della prima guerra mondiale. L’alto ufficiale è stimato e riverito dalle alte sfere compreso il Duce in persona. Roma e le gerarchie del partito fascista sono andati in fibrillazione e l’OVRA ha sequestrato il cadavere senza tanti convenevoli. I colleghi del poliziotto nicchiano ed il suo superiore lo indirizza a chiudere presto, in giornata, la spinosa faccenda. In maniera indolore, suggeriscono tra le righe. Inquietante questa fretta, il poliziotto lo sa. Però ignora il resto, il passato, quando un soldato detto “Il vecio” ‒ uno dei tanti che ha resistito a mesi di sfiancante battagliare e ai cecchini austroungarici ‒ è in ritirata dopo Caporetto con i superstiti della falcidiata III^ armata e l’ispettore supremo Graziani è chiamato dalla truppa “il boia” per la sua spietata crudeltà nell’applicare il regolamento ma soprattutto nel far valere la sua autorità. E il soldato assisterà alla ingiusta fucilazione di un suo commilitone, che gli è stato compagno per quei due anni terribili di trincea, dove la morte e gli stenti andavano oltre il dicibile…
“Per carità, capita anche che si arrivi in alto con le proprie gambe. Ma nella banale quotidianità dei servitori dello Stato, Malossi ha fin troppo presto imparato come la conoscenza conti infinitamente più della bravura”. L’ingiustizia messa in atto dai vertici gerarchici pervade questo giallo senza nemmeno troppa suspense, più simile ad un romanzo sulla guerra e sulle sue conseguenze, ai suoi orrori nel mentre e nel poi che a un’opera di genere. Diacronica e dinamica, con capitoli che alternano le agitate 48 ore dell’ispettore di polizia alle vicende di quattordici anni prima sul fronte veneto, l’opera è di ampio respiro per il contesto che agisce sullo sfondo, ben scritta e misurata anche con l’uso ben calibrato di tratti mimetici, specie in dialetto veneto, nelle parte dedicata agli episodi bellici. Nel descrivere senza indugi gli orrori che solo la trincea può recare e nel secondo segmento narrativo i dubbi e le certezze di un servitore dello stato che ben conosce il rigido ed ingiusto meccanismo che regola gli apparati burocratici, si arriva all’epilogo affatto sorprendente. Ripetuti, lapidari e senza appello i proclami dal sapor di invettiva contro i meccanismi del potere e del comando, che sia esso politico o militare non fa differenza. Un’opera interessante, non eccessivamente variegata nel descrivere le figure comprimarie ma comunque nel complesso dotata di una struttura efficace e con una sua fluidità ed attrattiva che riescono ad avere solo le storie ben congegnate.