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Promettimi che imparerai a nuotare

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Sono oltre otto mesi che Ale non va all’università, né controlla le date degli esami. Nel suo zaino ci sono ancora i libri dell’ultimo corso che ha frequentato in parte e che si è concluso ormai da tempo. Sua madre, Laura, non commenta le sue decisioni. E come potrebbe, dopo quello che il figlio ha dovuto subire negli ultimi tempi? Si limita a far sentire la sua presenza discreta, come a dirgli che, in caso di bisogno, lei c’è. È accanto a lui e non si è spostata di un metro. L’unica cosa che ha avuto il coraggio di fare è stata proporre al figlio di fare un viaggio, magari all’estero, dove potrebbe tentare di trovare quella pace che al momento è solo una chimera. Ma Alessandro ha scosso la testa, un rifiuto garbato ma deciso. Suo padre, quello, manco lo sa come sta il figlio. Alessandro non lo sente da almeno cinque anni, da quando l’uomo si è trasferito in Sicilia e si è risposato. Ale sfila le chiavi dalla porta d’ingresso ed esce. Sulle scale, all’altezza del terzo piano, vede una delle porte affacciate sul pianerottolo aprirsi lentamente: Julieth, una donna colombiana sui trentacinque anni, esce seguita dal figlio, un ragazzetto dai capelli afro e dal naso schiacciato. Un fischio prolungato anticipa la discesa di Ale nel fondo di quel bambino. E quel che Ale vede lo angoscia. Sì, Alessandro ha un dono, che è anche la sua condanna: riesce a vedere il dolore attraverso gli occhi degli altri, quelli che incontra lungo la sua strada. Pochi conoscono il suo segreto: lo sa sua madre e lo sa Davide, il suo migliore amico, quello che ha dovuto scendere a patti con una vita nuova che lo ha costretto su una sedia a rotelle a seguito di un incidente in motorino. Ecco perché Alessandro non guarda mai la gente in faccia. Se ne va per le strade del Dormitorio - il suo quartiere è stato chiamato così da quando, fino alla fine degli anni Settanta, la gente cercava casa lì, dove i prezzi degli affitti erano meno costosi rispetto alle altre zone di Roma - a testa china, evitando come la peste di incrociare altri sguardi. C’è stato un momento in cui aveva trovato il coraggio di sollevare la testa e incontrare altri occhi. Era tutto cominciato quando, sul treno, il suo sguardo si era scontrato con un paio di mani delicate, che stringevano la tracolla di una borsa di stoffa. Erano le mani di Claudia, la ragazza con gli occhi cangianti…

Il dolore è catrame, è una melma fangosa che inchioda al fondo e, per quanto si faccia, non permette di risalire in superficie. Ma forse non è proprio così; forse, con un potente colpo di reni, si può salire quel tanto che basta per vedere la superficie e scorgere un paio di mani, o forse anche più, pronte ad afferrarti, a salvarti. Tommaso Fusari - romano, classe 1992, alla sua terza prova autoriale - offre al lettore una storia plausibile, il racconto di un’anima sensibile, racchiusa nel giovane Alessandro, che vede il dolore, racchiuso nel fondo di chi lo circonda, e le ferite che in genere si preferisce tenere nascoste. Per Ale nulla è segreto: i dolori degli altri sono evidenti e, per evitare la sofferenza legata a una consapevolezza tanto pesante da gestire, preferisce non entrare nella profondità dello sguardo altrui, ma planare leggero sulla superficie delle cose e lì restare. Tuttavia, quando Claudia irrompe nella sua quotidianità, i suoi occhi cangianti portano a galla le fragilità di Alessandro, che comincia un nuovo percorso, alla ricerca di quella luce nascosta oltre il buio degli sguardi. Sarà un viaggio breve e doloroso, interrotto da eventi contingenti che, di nuovo, spariglieranno le carte e porteranno nuovi dolori, nuovi muri da scavalcare, nuovi traguardi da raggiungere. Con un linguaggio carico di poesia ma che non indulge mai nell’eccesso, Fusari racconta una storia che parla di dolore e accettazione, paura e consapevolezza, timore e coraggio. Una vicenda che sa di buono e che invita a non fuggire dal dolore, ma a imparare a nuotarci dentro, con la consapevolezza che la salvezza c’è: è lì da qualche parte e aspetta solo di essere scoperta.