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Prometto che ti darò il mondo

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A diciannove anni hai di fronte a te il mondo: sogni, desideri, ambizioni ma soprattutto la convinzione di essere immortale e indistruttibile. Poi arriva una curva presa forse troppo velocemente, lo scooter scivola e ti trovi in ospedale con le prospettive tutte ribaltate. All’inizio cerchi di capire solo cosa sei, perché percepirsi a metà è una cosa che non si fa. È sconcertante vedere le proprie gambe e non averne il controllo, anzi è terrificante. Cominciano così i nove lunghissimi mesi che Giulia passerà in ospedale, mesi in cui Giulia deve riconoscersi, superare i (tanti) momenti di sconforto supportata dal carattere deciso che l’ha sempre contraddistinta e da quello che ha passato nei suoi pochi anni di vita. Sa cosa vuol dire per una famiglia affrontare la malattia di un componente, ha provato sulla sua pelle cosa accade a un figlio quando i genitori devono concentrarsi sulla salute di un altro figlio. Appena si rende conto che uscirne – non sapendo come – sarà una faccenda lunga e complessa, il suo pensiero va alla sorellina, non vuole che viva le sofferenze che ha vissuto lei e con granitica decisione pone dei limiti al tempo e all’attenzione che i suoi genitori vorrebbero dedicarle. Deve riconsiderare tutto: i suoi studi, il suo rapporto con il ragazzo (proprio il giorno dell’incidente voleva chiarire che era finita) che non riesce a starle vicino, anzi, pur continuando ad esserci non mostra il minimo coinvolgimento né pentimento pur essendo lui che guidava lo scooter. Finché nella sua camera compare un tirocinante di fisioterapia, figlio di un amico del padre, che sconvolgerà la sua vita molto più di quanto abbia fatto l’incidente…

Chiunque abbia avuto un incidente stradale anche senza riportare le lesioni terribili e invalidanti – termine da prendere con le molle – che ha riportato Giulia, sa esattamente quanto sia difficile parlarne e anche solo pensarci. Ognuno trova poi il suo modo di convivere con quelle conseguenze, che siano fisiche o psicologiche. Una delle strade che ha preso Giulia Lamarca è stata quella di laurearsi in psicologia con un occhio di riguardo allo shock postraumatico, l’altra è a metà fra una scelta e un po’ di fortuna. La fortuna è stata Andrea – oggi suo marito e complice – la scelta è stata riconoscere che si può e si deve fare il possibile (e anche di più) per far sì che la carrozzina diventi una comoda alleata ma mai un ostacolo. La proposta di un viaggio che razionalmente sembra impossibile accettata con l’entusiasmo che contraddistingue questa giovane donna diventa la finestra su un altro mondo possibile. Il libro è il racconto della seconda vita di Giulia, quella iniziata con il risveglio al CTO di Torino e con l’incontrare Andrea. I due, lungi dal farsi condizionare dalle rotelle, hanno deciso di farne quattro compagne di viaggio, sicuramente scomode in moltissime situazioni, ma mai un freno. Oggi Giulia è un’instagrammer, una travel blogger, una psicologa pronta ad aiutare chi si trova ad affrontare quello che ha affrontato lei. Un racconto pieno di entusiasmo che suppongo possa essere salvifico e contagioso, le difficoltà di un viaggio “normale” – perché pensare che le tue “gambe” viaggino in stiva, trattate senza troppi riguardi non è psicologicamente facile – seguito dalla gioia di rimpinzarsi di burro (ben nascosto nei croissant e in ogni piatto francese) a Parigi, fino alla scoperta della Cina, dell’Australia, del Messico. Sembra impossibile a dirlo, eppure Giulia e Andrea questi viaggi li hanno fatti e continuano a farli e hanno anche aggiunto al team una splendida bimba che condividerà ogni avventura con i suoi folli e fortissimi genitori. È un modo adeguato ai tempi per combattere quella discriminazione (a volte reale, a volte solo percepita ma ugualmente frustrante) che tenta di mettere da parte chi per qualsiasi motivo non può contare sulla completezza fisica di sé. Nella descrizione dei viaggi, della loro organizzazione e realizzazione, c’è anche la disamina delle conseguenze psicologiche, del viaggio parallelo per ritrovare se stessi. Un bel viatico per chi si trova con le rotelle al posto delle gambe e per chi deve imparare ad abbassare lo sguardo senza inutili e crudeli pietismi.

LEGGI L’INTERVISTA A GIULIA LAMARCA