
Allan Steward Konigsberg nasce il 1 dicembre del 1935. La vera data è il 30 novembre, ma i suoi genitori volevano farlo cominciare dal primo giorno del mese. E, coincidenza, otto anni dopo, stesso giorno, nasce la sorella con la quale andrà sempre molto d’accordo tanto da farle produrre i suoi film. Come il giovane Holden, non vorrebbe parlare dei genitori ed evitare loro un infarto, ma lo fa magari perché possono essere più interessanti del protagonista. Il padre, un ebreo piccolo di statura che non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno, ama la bella vita, i vestiti e le donne. Senza mai un dollaro in tasca era capace di lasciargli cinque dollari sul comodino tutte le mattine. Un giorno incontra la madre e malgrado i massacri verbali reggono per settant’anni. La madre, non è una grande bellezza, la somiglianza con il comico Groucho Marx è imbarazzante, ma è una donna brillante e grande lavoratrice. Lo picchia almeno una volta al giorno ma allora le botte erano una prassi. Cinque zie, pure queste abbastanza brutte, sempre intorno a coccolarlo. Il carattere introverso lo porta ad amare attività che richiedono isolamento e concentrazione. Nasce la passione per i giochi di prestigio e la musica. Con l’abilità nella prima capirà presto che si può barare al tavolo da gioco, probabile che la parte truffaldina del suo carattere gli sia stata trasmessa dal padre che era persino riuscito a rubare un anello con diamante ad una cugina durante una festa in famiglia. La seconda lo porterà ad esibirsi su molti palchi newyorkesi e non solo, suonando con la sua band e con altri grandi musicisti come Turk Murphy. Né padre né madre hanno mai coltivato in lui la passione per l’arte e la cultura. Teatri e musei saranno una scoperta a diciassette anni durante le fughe dalla scuola. La cugina Rita lo inizia alla passione per tutto quello che sforna Hollywood. E dai film nasce l’amore per New York, Manhattan, le sue strade, gli autunni, i grandi attici dove donne bellissime flirtano tra calici di champagne con affascinanti uomini in giacche con le spalline. Scappa da scuola, si rifugia nella caffetteria del Moma per poi andare a vedere i classici del cinema. I fumetti sono la sua unica lettura, ma vengono sostituiti da libri di letteratura quando si rende conto che se vuol far colpo sulle ragazze deve conoscere Shakespeare, Mann ed Hemingway. Un giorno, dopo un film, vede esibirsi dei numeri di vaudeville. Viene folgorato. Vuole fare il comico, far ridere e, soprattutto scrivere commedie. Il debutto avviene a quattordici anni in un ritrovo di quartiere con un numero da prestigiatore. L’incontro con Sandy Epstein gli cambia il modo di stare sul palco. Compra un clarinetto, prende lezioni da un grande come Gene Sedric, si esercita costantemente. Lo fa anche oggi con grande dedizione. Abe Burrows lo indirizza al teatro. Espulso dalla NYU, inizia un rapporto di amore-odio con il lettino dello psicanalista sul quale rimane sdraiato per anni riuscendo ad evitare ogni progresso. Alla fine la sconfitta e l’ammissione che nelle questioni più profonde non ha fatto un solo passo avanti, ma ha avuto qualcuno con cui condividere paure e manie. Arriva la prima moglie, Harlene e il primo divorzio. Non era pronto, non sapeva cosa fosse l’amore, tutto qui. Il grande amore scoppia con Louise, bella come Brigitte Bardot, ma completamente fuori di testa, un rapporto di alti e bassi come le montagne russe. Altro matrimonio altro divorzio. Il suo problema è essere così ingenuo da ripetere gli stessi errori con le persone, che siano donne o manager. Scrive la sua prima sceneggiatura, Ciao Pussycat, ed impara ad affrontare le difficoltà del set. Conosce Diane Keaton ad un provino, diventano amanti ma ancor di più amici e complici, uniti da gusti e interessi. Per questo non si sono mai sposati. Prima della vicenda Mia Farrow che cattura e centralizza l’attenzione dell’autore e del lettore, Woody ci racconta i suoi film, il rapporto con gli attori. Un velo di tristezza scende sull’ultima parte del racconto biografico, trasformandolo in una sorta di difesa processuale. La consapevolezza di essere nel giusto e di aver fatto la scelta migliore della sua vita, sposare Soon-Yi alla quale dedica la sua biografia, non lo abbandona mai come il rimpianto di aver avuto milioni a disposizione e non esser riuscito a girare un capolavoro…
Ad ottantaquattro anni, Allen, sente il bisogno di raccontarsi. Ci vuole dire la sua verità. Il parto non è stato facile. L’accusa di aver abusato della figlia adottiva Dylan, lanciatagli dalla ex moglie Mia Farrow e sostenuta sia dalla stessa Dylan che dal figlio Ronan nella campagna #Metoo, ha convinto la casa editrice Hachette a rinunciare alla pubblicazione del libro. Lo ha fatto, in Italia, La Nave di Teseo in formato e-book. Mentre sfogliamo le pagine si apre il sipario e sembra di vedere un Woody Allen ironico, cinico sul palco di qualche locale di New York mentre si esibisce nella veste di stand-up comedian sfornando battute a tutto spiano. Aspirante comico, illusionista, giocatore di baseball ed infine anche aspirante jazzista, è riuscito a fare tutto anche se non tutto con lo stesso successo. Ancora oggi non capisce come mai la gente vada a sentirlo suonare, riempiendo le sale, forse per i suoi meriti cinematografici. Si racconta pieno di fobie, claustrofobico e pessimista, ateo e convinto che la religione sia un grande imbroglio, con una costante paura della morte. Cupo, nevrotico nei confronti delle malattie, non ama gli spazi aperti e gli animali domestici, ma è anche consapevole dei suoi limiti e, modestamente, si ritiene anche fortunato. Smentisce la sua fama di intellettuale e di schiappa nello sport, invece è stato un buon giocatore di baseball tanto da aver accarezzato l’idea della carriera professionista. Il libro è un interessante monologo zeppo di ricordi, nomi di personalità che spaziano dall’arte al cinema alla politica, di aneddoti e curiosità, scritto con semplicità, come ci si aspetta da chi è abituato a scrivere commedie e battute fulminanti. Alla fine si abbandona ad una poderosa, quanto di parte, risposta a tutti coloro che lo hanno accusato, da Mia alla figlia, dal giudice Wilk a tutti i giornalisti che lo hanno condannato fino agli attori che si sono rifiutati di lavorare con lui e a quelli che si sono pentiti di averlo fatto. Non lo fa per difendersi, oramai a ottantaquattro anni, a metà della vita, non ha più niente da perdere. Chiede solo che le ceneri vengano sparse davanti ad una farmacia.