
“Probabilmente, per diventare reale bisogna esistere nella coscienza, non la propria però, che è così inaffidabile, […] bensì nella coscienza di un’altra persona. E non una persona qualsiasi, ma quella che ha bisogno di sapere che tu esisti”. Due giovani ragazzi e un amore interrotto troppo presto. Lui si è arruolato volontario in una guerra che l’ha portato in una terra lontana: la Cina degli inizi del Novecento. Lei è rimasta nella madrepatria e studia da infermiera. Entrambi possono contare solo sui ricordi dell’amore che hanno vissuto, cercando di tenerlo vivo attraverso la fitta corrispondenza. Le loro lettere trattano degli argomenti più disparati, proprio come se i due ragazzi continuassero ad essere l’uno di fronte all’altra: parlano del momento in cui la loro passione è sbocciata in un’estate vissuta insieme, rievocando piccoli gesti e immagini della campagna attorno alla dacia; riesumano i ricordi di infanzia di lei, che in cerca dell’amore della madre, che le preferiva il fratellino morto, ha sviluppato una forma di sdoppiamento della personalità che altro non è che una richiesta di affetto; parlano di lui che voleva diventare scrittore e che ha poi deciso di arruolarsi forse per capire di più sulla vita, attraverso la morte; descrivono lo squallore della vita dei campi con la guerra che incombe; riflettono sui piccoli gesti che danno il significato all’esistenza, sulle gioie e i drammi che puntellano la realtà quotidiana, sulla vita e sulla morte. Fino a che non arriva una lettera, una lettera speciale che cambia tutto…
“Sai, probabilmente c’è una soglia nel dolore fisico. Si sviene per non morire. Poi c’è la soglia del dispiacere - improvvisamente non si sente più alcun dolore. Non si sente nulla. Niente di niente. Ti siedi e bevi tè con biscotti secchi”. È un linguaggio deciso, quello di Mikhail Shishkin, che richiede impegno e costanza da parte del lettore per essere assimilato pagina dopo pagina. Non c’è edulcorazione in quello che scrive, espone la realtà per quella che è. Sullo sfondo del romanzo si staglia la storia d’amore fra due giovani, che il lettore vive attraverso la loro corrispondenza. Nel corso della lettura non sfugge, però, che le lettere sembrano vivere di vita propria, risultano a sé stanti, e non seguono un ordine cronologico. Le domande che i due innamorati vicendevolmente si pongono non ottengono mai risposta. È come se le esistenze dei due giovani seguissero due realtà parallele che non sono destinate ad incrociarsi. Un punto di fuga al rovescio. Tutto questo – il racconto in forma di epistolario – è solo un espediente narrativo. Punto di fuga non ha una vera trama, è un’esposizione di pensieri sulla famiglia, sull’amore, sulle brutture dell’esistenza e in sintesi sulla vita e sulla morte, viste come le due facce della stessa medaglia. “Per essere felici si ha bisogno di testimoni. Puoi sentirti veramente felice solo ricevendone una conferma, se non do uno sguardo, da una mano che ti tocca, da una presenza, almeno da un’assenza”. Con questo romanzo, l’autore, di origine russa ma che vive in Svizzera, si è aggiudicato il Premio Strega Europeo 2022 assieme alla traduttrice italiana del romanzo, Emanuela Bonacorsi.