
Primo gennaio 1950, Colonia. Gerda osserva, attraverso il vetro, la fontana di pietra che si trova davanti a casa. Si tratta di un’immagine familiare: un bimbo rotondo e paffuto è seduto su una sfera e ha alle labbra un flauto. Il bambino sembra grigio spento, come se la pietra fosse diventata più porosa. Si tratta di uno degli effetti della guerra, che ha raso al suolo strade e case, ma non è riuscita a far cadere il flauto dalle mani del bambino. Guardare la fontana è un rituale che Gerda esegue ogni anno ed è per lei una specie di portafortuna. Suo marito Heinrich è fermo sulla porta. La donna gli carezza le guance, che ultimamente l’uomo non rasa. Ha dieci anni più di lei, ma fino a poco tempo prima la differenza d’età si notava a fatica. Nella stessa giornata, ad Amburgo, Kurt Borgfeldt smette di fissare il cielo plumbeo, che non promette nulla di buono, e guarda dritto in faccia la moglie Elisabeth, ripetendo una volta ancora che Joachim non tornerà. Suo genero, marito di sua figlia Nina, è partito per la guerra, ormai conclusa da cinque anni, ma non è mai tornato a casa. Elisabeth e Nina continuano a sperarlo, ma secondo Kurt è arrivato il momento della rassegnazione per le due donne, anche perché non fa bene neppure al piccolo Jan, cinque anni, lasciargli credere che il padre tornerà dalla guerra. È giusto che Nina si rifaccia una vita e in quella casa tutti hanno bisogno di nuova gioia e di un po’ di leggerezza. A Sanremo, intanto, dalla finestra della casa in cui vivono Margarethe e Bruno Canna entra un refolo freddo. Anche se il cielo è terso e azzurro, la temperatura è scesa di parecchi gradi, in quel primo giorno del 1950, e Margarethe sarà perciò costretta a indossare la pelliccia d’ermellino - non le piace per nulla - ricevuta in dono dalla suocera Agnese, che si offenderebbe a morte se la nuora non la mettesse per il grande pranzo di famiglia al Royal. D’altra parte, ai Canna piace molto far sfoggio della loro ricchezza e Agnese è una donna piuttosto complicata: è meglio non contraddirla se si vogliono evitare situazioni spiacevoli…
Dopo la trilogia (Figlie di una nuova era, È tempo di ricominciare, Aria di novità) declinata al femminile che racconta il Novecento e che ha reso l’autrice celebre anche in Italia, Carmen Korn - giornalista e scrittrice tedesca - offre al lettore il primo romanzo di una nuova saga in due volumi. Si tratta di una nuova storia corale che prende avvio nel 1950 e racconta il desiderio di rinascita dopo gli orrori e le devastazioni della Seconda guerra mondiale. Tre città diverse e tre diverse ambientazioni - Amburgo, Colonia e Sanremo - per un gruppo di personaggi che, segnati e feriti dagli episodi della guerra, vengono traghettati nel nuovo decennio, il primo dopo il conflitto, in cui tutto è da ricostruire. Pur se il timore legato a quanto accaduto è ancora presente in ognuno dei protagonisti, ciascuno di essi è fiducioso nei confronti di un futuro diverso, che va progettato e realizzato scavando tra le macerie della guerra e cercando di trovare, tra sfide da affrontare e rischi da correre, quella speranza necessaria per dar vita a un domani migliore. L’ottimismo è ciò che anima Heinrich e Gerda - che vivono a Colonia e hanno una galleria d’arte, i cui proventi non sono tuttavia sufficienti per il sostentamento della famiglia - Elisabeth e Kurt - che ad Amburgo cercano di confortare la figlia Nina, che si ritrova sola a crescere un figlio con la speranza, ogni giorno più fievole, che il marito disperso in guerra faccia ritorno a casa - e Margarethe e Bruno - che si trovano a Sanremo, dove la donna si è trasferita per amore e dove ogni giorno deve fare i conti con le pesanti ingerenze della suocera. Il “mondo giovane” raccontato nel romanzo ha conosciuto alcuni tra gli errori e gli orrori più gravi di cui l’umanità si è macchiata e, pur non essendone stato responsabile diretto, li ha silenziosamente accettati e il senso di imbarazzo per tale accettazione traspare in diverse occasioni. La Korn riesce, con discrezione, a disseminare il racconto di dettagli che denotano chiaramente quanto i protagonisti siano stati segnati dagli eventi vissuti, direttamente o indirettamente, sulla loro pelle. Un racconto corale - senza grossi colpi di scena, ma piacevole e scorrevole - in cui i fili delle vicende dei diversi personaggi si riannodano a formare un arazzo in cui la quotidianità racconta la voglia di ricominciare, di sbagliare e di rialzarsi, di scoprire le innumerevoli possibilità che la vita ha ancora da offrire.