
Mimi vive con la sua famiglia allargata a nonni, zii e cugini, in un’unica grande casa a Havelstadt, una cittadina del Brandeburgo sul fiume Havel. La Germania è ancora divisa in due parti e il luogo in cui trascorre la sua infanzia Mimi appartiene al blocco comunista. Il padre di Mimi lavora nel negozio di frutta e verdura gestito da nonna Frieda, ma passa molto tempo alla birreria di Otto Brunk. La madre della bambina, soprannominata da lei Mutsch, insegna nella scuola vicino a casa ed è a capo dei Pionieri, l’organizzazione per bambini dai 6 ai 14 anni attiva nella DDR: è una convinta comunista e partecipa attivamente a tutte le iniziative e agli eventi imposti dall’educazione di Stato. Mimi frequenta la stessa scuola in cui insegna la madre e questo talvolta la sottopone alle critiche dei compagni e a una certa pressione da parte degli insegnanti, che si aspettano da lei risultati e condotta esemplari. Quando Mimi è costretta a trasferirsi con tutta la sua famiglia sull’altra sponda del fiume, girando per le nuove strade conosce un ragazzino di un anno più vecchio, Oliver, un tipo taciturno e all’apparenza un po’ scontroso. La loro amicizia all’inizio è facilitata dalla frequentazione anche delle loro famiglie, tanto che, durante le cene con gli adulti, i due si nascondono a mangiare le ciliegie sotto spirito, ritrovandosi a fine serata mezzi ubriachi. Piano piano però i rapporti tra i due amici si raffreddano, anche per le tensioni che portano dentro la scuola il malcontento che si respira nella vita di tutti i giorni: la miseria e il degrado in cui versano molte famiglie, spinge spesso alcuni ragazzi a comportamenti aggressivi e devianti all’interno degli edifici scolastici. Mimi prosegue i suoi studi, osservando sempre l’amico da lontano e soffrendo quando lui si unisce a compagnie di bulli per deriderla. Con la caduta del muro di Berlino e del comunismo, la vita di Mimi comincia lentamente ma inesorabilmente a cambiare, purtroppo però Oliver e altri coetanei entrano a far parte di gruppi neonazisti di teste rasate con bomber verdi e anfibi come divise, armati di mazze da baseball, che girano per le strade e le discoteche “alla caccia di coloro che non si adeguavano, non ubbidivano, non avevano paura”, da loro definiti “zecche”. In poco tempo le gang crescono e dominano indisturbate per le città, riportando alla luce tristi fantasmi del passato...
Manja Präkels è nata a Zehedenick nel 1974, ha studiato filosofia, sociologia e storia dell’Europa dell’Est. Nel 2001 ha fondato un gruppo musicale, Der Singende Tresen. Quando mangiavo ciliegie sotto spirito con Hitler è il suo primo romanzo, in parte autobiografico, e ha ottenuto nel 2018 il Deutsche Jugendliteraturpreis e l’Anna Seghers-Preis. Dal romanzo è stato tratto uno spettacolo teatrale, andato in scena nel gennaio 2022 al Theater der Altmark di Stendal. Quando mangiavo ciliegie sotto spirito con Hitler attraverso il racconto in prima persona della protagonista Mimi descrive un’epoca che, anche se lontana pochi decenni, pare lontanissima per il contesto politico-sociale in cui si è espressa: la vita in una cittadina tedesca del blocco orientale è distante “secoli” dall’età della globalizzazione e della digitalizzazione spinta. Mimi ci racconta una storia dall’interno, ricca di particolari a noi “occidentali” poco noti: ad esempio i rituali scolastici dei ragazzi della DDR, che dovevano partecipare all’organizzazione giovanile dei pionieri indossando la camicia blu e affrontare la Jugendweihe, la consacrazione giovanile, attraverso la quale si segnava il passaggio dall’adolescenza all’età adulta; ma anche le lezioni e le Olimpiadi di russo, le visite organizzate agli altri paesi del blocco comunista. Forte, inoltre, è il racconto delle emozioni provate dalle famiglie dell’Est alla notizia della caduta del muro: all’inizio molti non ci credono e, dopo averne avuto la conferma il giorno successivo, si precipitano al quartiere Wedding a Berlino e si infilano nei grandi magazzini, rimanendo stupefatti di fronte a tanta abbondanza e varietà di merce. Nonna Frieda invita anche i suoi famigliari ad andare: Mimi afferma che mentre guardava “i visi, le pettinature, l’abbigliamento dei nostri simili” si vergognava del suo “giubbotto rosso”, scelto dalla madre a uno dei punti vendita HO, i magazzini di Stato della DDR. Col passare dei mesi e degli anni, all’iniziale euforia, subentra, però, la delusione di chi non riesce ad adattarsi al cambiamento, di chi rimane senza posto di lavoro perché non qualificato per i nuovi parametri, dei vecchi contadini nelle loro terre ormai lasciate andare in rovina, dei loro nipoti “incapaci di immaginare un futuro come cuochi, bagnini, stallieri o raccattapalle”: nei villaggi intorno a Havelstadt “tutti sentivano che non ci sarebbe stato alcun posto per loro... la loro esperienza non aveva più valore”. Contemporaneamente alla caduta del comunismo, inoltre, si sviluppano gruppi neonazisti che impongono le loro regole per le strade e nei locali con l’intenzione inizialmente di punire i comunisti e coloro che avevano ricoperto incarichi statali, estendendo successivamente la caccia a chiunque loro considerino diverso per qualche motivo: il fenomeno è talmente forte da costringere numerosi giovani alla fuga, quando non al suicidio, e da riproporre in quegli stessi luoghi una storia dolorosa che nessuno avrebbe voluto nuovamente vedere. Oltre allo sgretolamento del mondo in cui viveva e alla sua progressiva trasformazione, la protagonista ci racconta, quindi, la stessa storia di sempre: quella di chi ha meno, non solo in termini di denaro, ma anche di strumenti culturali e di sostegno umano, che diventa inesorabilmente facile preda di pericolosi ideologismi che riempiono la mancanza di valori e di contenuti con la banale violenza delle azioni.