
Il pittore Kevin Pace è gelosissimo del suo lavoro e non consente a nessuno – né a sua moglie, né ai suoi figli né a Richard, il suo migliore amico – di entrare nel suo atelier. Il motivo principale forse è che se vedessero i suoi dipinti probabilmente cercherebbero di dar loro un nome, un titolo, “rovinando tutto”. Soprattutto il dipinto che Kevin sta ultimando, che è quello di cui è più geloso, forse il suo capolavoro. È alto tre metri e cinquanta e largo sei metri e quarantasette (“Non so spiegare i sette centimetri, ma posso dichiarare che sono essenziali per l’opera”). In passato ha avuto un breve periodo di grande successo e ha perciò accumulato un piccolo patrimonio, che gli serve per mantenere agiatamente la sua famiglia. Ma non è sempre stato un padre e un marito modello, no. Malgrado le apparenze. Dieci anni prima con la moglie ha organizzato una “fuga romantica” a Parigi, un lungo viaggio pensato per stare un po’ soli senza i bambini e festeggiare i vent’anni di matrimonio: è proprio durante questo viaggio che Kevin ha avuto una storia con un’aspirante pittrice di ventidue anni, studentessa alla École des Beaux-arts, approfittando della momentanea assenza della moglie, andata per due giorni a Bordeaux da una ex compagna di college. Vent’anni prima, invece, ha seguito l’amico Richard in un’avventura pazza in El Salvador, dove il fratello di Richard, Tad, era sparito da mesi e mesi, probabilmente cacciatosi in qualche casino di droga dato che anche negli Stati Uniti era stato arrestato almeno un paio di volte per lo stesso motivo…
Diciassette capitoli ambientati nel 1979, quindici nel 1999, ventidue nel 2009 per seguire tre linee narrative indipendenti eppure intimamente connesse (e non solo perché hanno il protagonista in comune): oggi il suo lavoro ad un enorme dipinto blu, mentre sua figlia sedicenne deve affrontare una gravidanza indesiderata e vorrebbe che lui la aiutasse senza dire nulla alla madre/moglie; ieri la relazione infuocata e tiepida al tempo stesso di Kevin con Victoire e tutte le riflessioni che ne sono conseguite e infine l’altroieri una missione di salvataggio picaresca tra trafficanti di droga spietati e avventurieri cialtroni in un El Salvador sull’orlo della guerra civile. In questo Quanto blu c’è poco del Percival Everett sperimentatore, filosofo e letterato: c’è invece un Everett che fa il narratore puro con gusto e con mestiere, proponendoci un romanzo per certi versi tradizionale, mainstream, nel quale la convivenza tra generi diversi rappresenta al tempo stesso una risorsa (per l’entertainment) e una debolezza (per la omogeneità). L’autore sembra giocare sornione con alcuni cliché della middle class statunitense: misantropa e assuefatta al lusso in patria, colonialista e sanguinaria in centroamerica, disinvolta e “romantica” nella vecchia Europa. Ma celebrandoli li smaschera e li disprezza.