
Quirico, Enrico, Gabriele e Christian erano compagni di classe all’esclusivo Liceo Classico Dettori di Cagliari, grandi amici; il più strano e trasandato era Enrico La Torre, spesso bersaglio di bulli; gli altri tre lo trattavano invece sempre con rispetto, senza cattiveria; insieme facevano vela (saltavano le lezioni) e si avventurarono una volta di nascosto all’obitorio dell’ospedale Brotzu. Molti anni dopo si ritrovano un po’ più che trentenni in una complicata vicenda criminale. Ormai Enrico fa l’insegnante supplente di storia e filosofia e Quirico D’Escard ha conseguito da poco il titolo di avvocato, vive ancora con i genitori, ha una lunga storia di tira e molla con Claudia. Il preside del liceo di Sassari ha fatto pagare a tutti gli studenti le tre settimane di occupazione scolastica dell’autunno precedente, imponendo fra l’altro di organizzare la mitica gita di fine corso delle tre quinte a soli duecento chilometri di distanza, visita a Cagliari. È maggio, canne e birra non mancano e un diciottenne si può divertire liberamente in qualsiasi posto. Per l’ultima notte i ragazzi organizzano un’indianata nella stanza 109 dello squallido albergo, la più lontana possibile dai professori. Alessia e Francesca si mettono d’accordo. La prima cercherà a mezzanotte di incontrare Paolo, un ragazzo conosciuto la sera prima in discoteca. La seconda starà con gli altri in mezzo a fumo e testosterone, sperando che Carlo ci provi; comunque appena gli adulti finalmente andranno a dormire deve avvisarla che la via è libera. Tornando in camera dopo le quattro di mattina, Francesca scopre la sua migliore amica immobile sul letto, uccisa. L’esame del Dna accerta che il liquido seminale che ha addosso appartiene a Enrico e lui chiede all’inesperto civilista Quirico di difenderlo, ha bisogno di qualcuno di cui fidarsi ciecamente. Anche gli altri vecchi amici tornano in campo…
L’avvocato sardo Paolo Pinna Parpaglia ha esordito tre anni fa con un legal thriller, ora riedito per dare avvio a una vera e propria serie. Stile semplice, lettura scorrevole, discreta introspezione. La narrazione in terza varia alterna passato e presente e, in parallelo, il lungo percorso giudiziario delle schiaccianti prove per l’accusa a Enrico (da cui il titolo) e l’altra delicata vertenza che impegna per mesi e distrae in vario modo il buon Quirico. L’elegante signora anziana Murranca “zia Gratzia” Cavalieri (gran lettrice di Grazia Deledda) con frequenti munifici acconti in contanti lo ha assoldato per farsi tutelare nella lite sorta con tre nipoti del ricco marito ingegnere Giuseppe, morto l’anno prima a 86 anni senza figli, del quale era stata servetta, principale domestica e una delle amanti per decenni. Cercano il fantomatico testamento che era stato annunciato, con villa monumentale e cinquantamila euro a testa per i nipoti. Quando la vedova (scorpione) va in studio si fa accompagnare dalla giovane e splendida badante ucraina Jasmine (o Giasmina che dir si voglia), occhi azzurri, belle gambe, seno sodo (vipera). Quirico è una brava persona, fatica a riconoscere malvagi e santi anche se guarda gli altri negli occhi, si barcamena comunque. Qualche espressione della lingua isolana arricchisce descrizioni e dialoghi.