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Quel treno per il Pakistan

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India, 1947. Siamo nel piccolo villaggio di Mano Majra. Nella fretta di concludere le indagini riguardanti una sospetta sparatoria in cui è rimasto ucciso un usuraio, Lala Ral Lal, la polizia arresta due giovani, Iqbal e Juggut, non tanto perché in possesso di prove schiaccianti bensì per il loro passato: Iqbal è figlio di un rapinatore che ha appena violato la libertà vigilata e Juggut un “uomo di dubbia religione”, ovvero un musulmano. La gente però non ha tempo per gridare all’ingiustizia dell’arresto. Qualche notte più tardi infatti un treno proveniente dal Pakistan sfila tra i villaggi catturando l’attenzione per via di ciò che trasporta: cadaveri di Sikh. A quel punto la tensione all’interno del villaggio esplode: la paura si insinua anche in un angolo di India dove fino a quel momento la convivenza tra musulmani e Sikh era talmente normale da non aver mai vacillato. La gente, travolta da rabbia e paura, vuole un colpevole a tutti i costi e così il magistrato hindu Hukum Chad opta per una decisione senza precedenti: i musulmani devono abbandonare il villaggio, dirigersi verso un campo profughi e da lì partire per un lungo viaggio in treno che li porterà in Pakistan. Una rappresaglia questa che rompe per sempre gli equilibri tanto delicati tra politica, convivenza e amore, portando dolore non solo per quelle famiglie di musulmani costretti a lasciare la propria terra, ma anche per lo stesso Hukum Chad che si trova a dover rinunciare al suo amore, l’unica donna che sia riuscita a fra suonare le corde del suo cuore…

“Criminali non si nasce. Sono fatti dalla fame, dal bisogno e dall’ingiustizia”. Khushwant Singh, vincitore del prestigioso premio Padma Vibhushan, la seconda più alta onorificenza civile indiana, è in grado di far scivolare accadimenti storici reali all’interno di un romanzo esaltandone la componente emozionale più profonda. Le tensioni tra India e Pakistan per il possesso del Kashmir e della città di Jammu, sfociarono in quella che è nota come la Prima guerra per il Kashmir, combattuta poco dopo l’Indipendenza dagli inglesi, tra il 1947 e il 1948, e vissuta in prima persona dall’autore. Rimasto colpito dagli eventi di un conflitto mai giunto a una conclusione definitiva e che è motivo ancora oggi di tensioni tra i due Stati, Singh decide di raccontare le stragi compiute da entrambi i contendenti costruendo un’intricata tela in cui, con schiacciante attenzione al reale, vengono portati alla luce i pregiudizi fomentati da personaggi ambigui che riescono a far compiere gesti orribili a una popolazione che prima di quel momento riusciva a vivere in pace. L’intera vicenda è ambientata nel 1947 in un villaggio dove fino a quel momento si era riusciti, senza troppe difficoltà, a mantenere umanità ed equilibrio tra gruppi di persone di estrazione sociale e appartenenza religiosa differenti - Sikh, Indu e musulmani - poi la situazione degenera e per Khushwant Singh viene il momento di narrare la complessità umana. L’autore ha più volte ribadito di aver desiderato raccontare quegli anni di guerra per mostrare il lato umano dei combattenti. L’aspetto religioso, centrale nella rivalità tra i due stati e soprattutto nella regolazione dei rapporti tra gli abitanti di questo villaggio (così come di altri) nell’India rurale, viene affrontato offrendo al lettore tutte le possibili informazioni necessarie per avere una più chiara conoscenza dell’atmosfera. I personaggi sono a tutto tondo, in grado di gestire un delicato equilibrio tra azioni positive e malvage; la narrazione prosegue dal punto di vista di tre persone ognuna delle quali si muove in un limbo di grigie sfumature, dove nessuno è pienamente buono o cattivo. È lo stile di Singh a rendere evocativo il testo, tracciando con sincerità le caratteristiche primarie di ogni personaggio, di tutte le religioni chiamate in causa e gestendo l’intricata posizione della politica carica di funzionari corrotti che ha pregiudicato la pace dell’intero villaggio.