
D. è un’insegnante. Muore di tumore a quarantaquattro anni, in un pomeriggio di giugno del 2003, lasciando alla madre un testamento ideale in una lettera mai spedita. Quella stessa lettera, ritrovata tra le carte di D. da un suo ex alunno, diventa un’opportunità per ripercorrerne la storia breve ma significativa. D. è piemontese, adottata dalla terra ligure nelle lunghe estati della sua adolescenza, e trasferita a Roma per insegnare in un liceo a mezz’ora di distanza dalla città nel 1988. Dotata di un carattere forte e determinato, ma intessuto di mille fragilità, D. non si fa subito amare dai suoi alunni, che la etichettano come “strana”, severa, incapace di ingenerare cambiamenti, troppo rigida e poco empatica. Rari sono i momenti in cui D. recupera parte della propria leggerezza di vivere, rivelando solo a tratti e per brevissimi frammenti,una tenerezza di fondo spesso inaccessibile. Abita con la madre e il gatto Jamil, prezioso custode della sua malinconia; amante dei viaggi, poco rivela, invece, delle sue storie d’amore, tranne che per una brevissima liaison sentimentale con un tale Giorgio negli anni precedenti alla sua trasferta romana. D. non crede in Dio e pur nutrendo un grande rispetto verso la Chiesa come istituzione, preferisce piuttosto riporre la sua fede nelle idee, nei libri dei grandi del passato da Leopardi, a De Amicis, da Pratolini a Pavese. Da sempre scissa tra il desiderio di correre verso gli altri e il bisogno di fuga persino da se stessa, D. vive poco ma con l’intensità che accompagna le anime belle, destinate a lasciare comunque un segno sui cuori di tutti quelli che al loro fianco hanno tracciato un pezzo di strada…
Il ventiseienne Paolo Di Paolo, dopo il fortunato Raccontami la notte in cui sono nato, torna con un piccolo capolavoro intimista. A metà tra saggio e memoriale, dà vita ad un romanzo in cui lo stile si fa riflessivo, i ricordi prendono il sopravvento sul presente e la scrittura, quasi come un’urgenza percepita, restituisce senso e sostanza al tempo perduto. L’occasione viene fornita da un viaggio nei luoghi cari alla sua professoressa, nell’intento di tracciarne un ritratto che voli al di là delle apparenze e la risarcisca della dignità di una giusta memoria. Di Paolo scrive, cercando, come Leopardi, ricordi da attaccare ai luoghi, percorre e ripercorre, scava nel passato di D., cerca di recuperarne il significato celato dietro una facciata spesso ingannevole. In questo itinerario a ritroso lo aiutano i libri, in particolare le opere di Lalla Romano, nelle cui pagine l’autore sembra ritrovare buona parte della personalità di D. (non a caso, questo romanzo nasce nel 2006 per essere un altro libro: Come un’isola, scritto alla stregua di un pellegrinaggio letterario sulle orme dell’opera della scrittrice cuneese). Così facendo confeziona un lavoro di ricerca che si configura come una solida opera di “restituzione” e il percorso, sebbene molto personale e circoscritto alla sua individuale esperienza di crescita, è talmente avvincente, erudito e delicato che diventa impossibile non essere chiamati a farne parte. Torniamo anche noi sui banchi di scuola, riviviamo i primi amori, le prime cocenti delusioni, ritroviamo intatti certi sapori, passaggi che credevamo di aver dimenticato. Ci soffermiamo, protesi verso un recupero che ognuno farà poi coincidere con il proprio passato. E’ così bravo Di Paolo, così capace nel creare atmosfere, mantenendo la purezza di un cammino che non può non riempirci di fiducia e rinnovata speranza. Nulla passa invano se ha trovato il coraggio di vivere nella coerenza delle proprie scelte: “ si perde ciò che si è amato, ma solo ciò che si è amato ritorna” diceva Lalla Romano ed è un sillogismo che da solo basterebbe a salvare più di una vita.
Il ventiseienne Paolo Di Paolo, dopo il fortunato Raccontami la notte in cui sono nato, torna con un piccolo capolavoro intimista. A metà tra saggio e memoriale, dà vita ad un romanzo in cui lo stile si fa riflessivo, i ricordi prendono il sopravvento sul presente e la scrittura, quasi come un’urgenza percepita, restituisce senso e sostanza al tempo perduto. L’occasione viene fornita da un viaggio nei luoghi cari alla sua professoressa, nell’intento di tracciarne un ritratto che voli al di là delle apparenze e la risarcisca della dignità di una giusta memoria. Di Paolo scrive, cercando, come Leopardi, ricordi da attaccare ai luoghi, percorre e ripercorre, scava nel passato di D., cerca di recuperarne il significato celato dietro una facciata spesso ingannevole. In questo itinerario a ritroso lo aiutano i libri, in particolare le opere di Lalla Romano, nelle cui pagine l’autore sembra ritrovare buona parte della personalità di D. (non a caso, questo romanzo nasce nel 2006 per essere un altro libro: Come un’isola, scritto alla stregua di un pellegrinaggio letterario sulle orme dell’opera della scrittrice cuneese). Così facendo confeziona un lavoro di ricerca che si configura come una solida opera di “restituzione” e il percorso, sebbene molto personale e circoscritto alla sua individuale esperienza di crescita, è talmente avvincente, erudito e delicato che diventa impossibile non essere chiamati a farne parte. Torniamo anche noi sui banchi di scuola, riviviamo i primi amori, le prime cocenti delusioni, ritroviamo intatti certi sapori, passaggi che credevamo di aver dimenticato. Ci soffermiamo, protesi verso un recupero che ognuno farà poi coincidere con il proprio passato. E’ così bravo Di Paolo, così capace nel creare atmosfere, mantenendo la purezza di un cammino che non può non riempirci di fiducia e rinnovata speranza. Nulla passa invano se ha trovato il coraggio di vivere nella coerenza delle proprie scelte: “ si perde ciò che si è amato, ma solo ciò che si è amato ritorna” diceva Lalla Romano ed è un sillogismo che da solo basterebbe a salvare più di una vita.