
Pino coda di volpe, Cedro incenso. Quercia e l’Abete Sitka. La profonda corteccia di una Sequoia. Camminare, walking on. Crinali aridi, erbosi, crinali tracciati dalla neve. Acqua che scorre, acqua che si riversa, acqua che viaggia, il fiume Elhwa dalla sua sorgente. Un suono, vicino o lontano. La forma di un ricordo. Forma di paesaggio che trasla in una xilografia di paesaggio, la dimensione di una catena montuosa nell’occhio di un artista. Cachi traslato in una pittura di cachi: sicuro che sfama. Cammina, vola. Umidità attaccata addosso, il deserto sa di pioggia, quell’odore di pianura, le nuvole che circondano alti crinali dolomitici, paffute. Nel campo del selvatico, popolazione Ainu sente il campo, orecchie-occhi-naso, sotto l’argento della luna. Non tutta la poesia deve rimare. Poesia dalla sorgente. Senza forma. Forma cristallina. Forma e vacuità. Forma dell’isola della Tartaruga, possibilità genetiche, confine occidentale, nazione Shasta di nativi, europei, africani, asiatici, mestizo, americani del Pacifico, nuevo americani. Thomas Jefferson proponeva democrazia, ma aveva schiavi. Prendi una zappa, not too late, prendi una zappa e lascia andare la tua gente. Liberi dalla sete di proprietà di cosa? Reinventare il Nord-america. Condividere canti, poesia, campeggiare dove il mattino e la notte sono insieme, contare le stelle prima che si affacci il bagliore da est, sorgere di Orione e le Pleiadi. Svegliarsi al canto degli uccelli. Un tramonto violaceo, Venere splendente, una tavola calda messicana e un mormorio di fondo. Ricordi affiorano, thinking – thinking. Il giusto posto dove essere. Solo ampi territori camminati e meditati conducono verso l’altitudine dei versi di Go now…
Outriders e un primo volo, Locali e un secondo volo, Antenati e un terzo volo, e l’ultimo volo è un richiamo, un sussurro, una scia che scompare: Go now. Raccolta di poesie sparse in diversi tempi di pubblicazione – qualcuna emersa da chissà dove, e che come le parole nel caro Macintosh si raccolgono preziose ma possono vanificarsi in qualunque istante, possibilità di meditazione sull’impermanenza e il dolore – raccolta tripartita, con un congedo che è un intensificare e sfumare. I luoghi appaiono chiari, nel ritmo pulito battente dei versi, nel silenzio tra le stanze, o anche a metà del rigo, a fare spazio bianco tra uno balzo e l’altro. L’istante presente si compone della molteplicità di parti, di presente che affonda nel passato, e del passato che riaffiora nel momento presente, e un pesce cucinato in un ristorante messicano sarà l’immagine di una coppia di amici e un articolo letto tanto tempo prima, o un giovane poeta che legge poesie in greco è medium per un giapponese ricordo d’amore vicino a un pruno; o la visitazione del corpo di Otzi, a Bolzano, a illuminare – immedesimazione visiva - una chiara scena di cammino sulle vette, la brezza sulla barba, parti del corpo che risuonano di dolore, di fatica, di vita. L’istante presente ha radici lontane, antiche come quelle di un’antica conifera. Gary Snyder, ascolta. Ascolta il suono del vento, il freddo respiro di nebbia dell’acqua, una motosega che taglia il legno. Grafico segno, grammatica che è un tessere e un intagliare. Snyder poeta, buddista, bioregionalista, montanaro e saggista, come lo introduce Giuseppe Moretti nella postfazione: Questo istante presente, per Moretti, ha il pregio degli anni che passano, galleria di dediche a luoghi e persone. Tessitura di un mormorio/frastuono/armonia tutt’intorno, osservazione di forme, immergendosi più dentro, verso un luogo dove tutto è più spaventoso e calmo, là dove il nome dell’uccello che ricercavi si frammenta, scomponendosi, e tu sai che lo conoscevi di già. Passi, verso “the shining way of the wild”.