
Peppino, il bravo bambino, crede che ogni parola che esca dalla bocca degli adulti possa contenere un mondo. Solo una volta riuscito ad udire gran parte di ciò che gli adulti sono soliti dirsi si rende conto che dai discorsi dei grandi non c’è proprio nulla da comprendere o imparare. Gli esseri umani sono infatti tutti uguali agli altri, privi di sensibilità e discernimento per l’interiorità e per tutto ciò che non si presenti come lusinghiero e vantaggioso, felici della loro vita solo nel momento in cui riescono a riprodurre nel loro piccolo l’essenza dei meccanismi sociali. Alcuni sono stati amici, almeno nel senso corrente del termine, ossia frequentandosi con qualche assiduità, avendo circostanze e persone in comune, un’amicizia inesistente dunque perché priva di contenuto. Altri vogliono fare qualcosa di veramente utile per l’umanità, vogliono aiutare gli uomini a liberarsi dei loro dolori, limiti, pregiudizi, vogliono vederli redenti dall’apparenza e dal dominio, la condizione più avvilente per esseri dotati di ragione, senza rendersi conto che non è poi difficile rendere felici gli uomini. Basta mescolarsi con loro e fare esattamente quello che gli altri fanno, perché gli esseri umani non conoscono altra gioia che quella di vedersi “confermati”…
Il presupposto è chiaro sin dall’inizio. Racconti e favole. C’era una volta il mondo di oggi non è un libro per bambini. Si tratta anzi di un’ampia raccolta di racconti, nei quali brevità e struttura semplice sono cifre stilistiche, rivolti ad un panorama di lettori adulti che necessita, come viene chiarito da subito, di essere “svegliato”. Il meccanismo di narrazione è lo stesso che ci si aspetterebbe dalle più leggere e incantevoli favolette per bambini, dagli incipit con il classico “C’era una volta” alla morale finale, eppure di incantevole e leggero in Racconti e favole. C’era una volta il mondo di oggi non c’è proprio nulla. A fare da padrone è invece un certo cinismo, un senso di fredda disillusione in forte antitesi con la forma narrativa scelta, la favola appunto, solitamente attribuita ad un pubblico infantile ma che in realtà non sottostà a nessuna regola fissa ed immutabile. Il genere, in sostanza, non è esclusivo appannaggio dei più piccoli e l’autore Giuseppe Maria Iacovelli sembra sottolinearlo con forza. Proprio qui che sta il fascino della raccolta, nel senso di destabilizzante rovesciamento, di sovvertimento di regole non scritte. Ma l’aspirazione di voler insegnare una morale ad un pubblico adulto, presumibilmente già (de)formato da tempo, forse è troppo ambiziosa.