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Ragazze troppo curiose

Ragazze troppo curiose

Rosa Lentini si sta preparando ad affrontare una discussione con la madre Evelina: vorrebbe chiedere un altro anno di aspettativa, lasciare Milano, tornare in Sicilia, a Pizzuta, e rimanerci per almeno sei mesi. Infatti, dopo essere venute a capo di un mistero familiare vecchio di quasi sessant’anni, il giallo della bella parrucchiera Nunziatina Bellofiore scomparsa nel 1956 nel loro paese, Rosa non osa rivelare a nessuno, tanto meno alla madre, che ci ha preso gusto ad applicare i metodi usati dalla filologia, il suo campo di studi privilegiato, a crimini freddi. Del resto, non ha problemi economici e il mancato stipendio di docente universitaria non la preoccupa: per le loro esigenze, il gruzzolo in banca può bastare e, inoltre, ha trovato un inquilino per l’appartamento dove ha abitato diversi anni con l’avulso, ovvero l’ex marito Fabio Robusti, e con la figlia Giulia, dato che dopo la morte del padre si è trasferita dalla madre, una spavalda ottantenne, che ha manifestato un sorprendente interesse per la filologia. A coinvolgere le donne in un nuovo caso, l’ex comandante don Ciccio Drago, che è stato chiamato a dare il suo contributo dopo aver ricevuto alcune lettere che hanno fatto riaprire le indagini. I fatti risalgono al 1974: una giornalista, Wanda Girlando, di ventisei anni, fu uccisa nella sua macchina la sera di giovedì 31 ottobre con sei colpi di pistola, sotto il carcere borbonico di Ortigia, forse perché stava indagando su un altro delitto — di cui accusava il figlio del presidente del tribunale cittadino, Roberto Infantino —, avvenuto circa sette mesi prima, quando un ingegnere e antiquario, contrabbandiere e intrallazzatore, consigliere del Movimento sociale, sicuramente fascista, venne ritrovato nella campagna di Pizzuta con un buco in testa. A donna Evelina basta sentire un nome per legare tra loro i fili della memoria — di cui non difetta, nonostante l’età — e ricondurre la faccenda a un bell’uomo non pizzuttese che aveva cresciuto un figlio da solo, dopo che la moglie se n’era andata con un altro. Alle due detective non resta allora che sancire con un brindisi un patto di alleanza che prevede la partenza per Pizzuta nel giro di poche settimane, verso una nuova indagine filologica chissà quanto appassionante...

Con lo pseudonimo di Nino Motta, Paolo Di Stefano ha pubblicato due romanzi noir — La parrucchiera di Pizzuta e Ragazze troppo curiose — con protagonista la filologa Rosa Lentini. Se filologia significa, in generale, amore per il testo originale e per la parola giusta, Rosa è convinta che la mentalità filologica può essere applicata in diversi contesti — dalla cucina al delitto —, con l’intento di ristabilire una verità o di avvicinarsi alla verità storica. Rosa è una quarantanovenne disinvolta e sicura di sé: un’età molto ben portata, secondo il parere di Claudio Rubino, l’allievo pugliese, ammirato più che per le intuizioni filologiche per le impensabili risorse atletiche: si incontrano a tempo perso, nel bilocale del quarantenne col pretesto di affrontare argomenti di carattere metodologico, che nel giro di trenta-quaranta minuti vanno a risolversi in una “clamorosa scopata”. Giunte a Pizzuta, le due investigatrici improvvisate, ma testarde, devono fare i conti con una serie di elementi, tracce, prove, indizi, spie, frasi, suggerimenti, testimonianze, false testimonianze e, soprattutto, ricordi che si riaffacciano alla memoria di chi ha conservato a lungo il segreto. A ciò si aggiunge il fatto che in Sicilia i depistaggi sono all’ordine del giorno e della notte e che ogni messaggio falso tendente a confondere le indagini si somma con il precedente e lo contraddice. Proprio come hanno fatto diversi anni prima due “ragazze curiose” — e coraggiose —, Wanda Girlando e, dopo di lei, Teresa Carullo, fermate perché cercavano la verità, Rosa ed Evelina riescono a ricostruire una vicenda sotto la cui superficie si agitano motivazioni impreviste e dove l’idea di giustizia ne esce sconvolta. Oltre alle indagini sul caso freddo, l’autore dà vita a un ricco universo sensoriale — che nella torrida estate siciliana è fatto di sapori e colori, luce e calore, bisbigli e sfioramenti — e a un testo che risulta a tratti umoristico e divertente grazie ai dialoghi con il buon don Ciccio e la sua accentuata balbuzie, alle battute, ai giochi di parole, ai siparietti comici fra madre e figlia e durante gli incontri con i testimoni, alle acute osservazioni di Rosa sull’umanità che la circonda... E anche se la verità non risarcisce inadempienze, omissioni, pigrizie, inerzie e assenze, e non ricostruisce completamente i fatti nella loro complessità, tutti, alla fine, si possono dire soddisfatti.