
"Corollario 1. Guarda sempre chi hai davanti come stesse per ucciderti, ma non agire di conseguenza. Corollario 2. Sii gentile, professionale, ma tieni pronto un piano per uccidere chiunque". Iraq, 19 novembre 2005. Al-Haditha è una tranquilla cittadina lungo l'Eufrate, tradizionalmente meta per il weekend degli abitanti di Baghdad in fuga dal caos urbano. La guerra ha cambiato le cose, certo, ma la situazione è ancora relativamente tranquilla. Fino a oggi. Nella luce incerta dell'alba, quattro mezzi blindati Humvee muovono dall'avamposto dei marines chiamato in codice Base Sparta diretti verso un altro fortino militare statunitense, distante solo cinque chilometri. Durante il viaggio di ritorno - che come tutti i veterani delle guerre mediorientali sanno perfettamente è la fase più rischiosa - una mina sepolta al centro della strada esplode al passaggio del convoglio, e scaraventa in aria un blindato. Il soldato alla guida viene tranciato in due, un altro rimane schiacciato sotto ai rottami con terribili fratture multiple, un terzo rimedia un piede rotto. L'attentato provoca il panico tra la squadra di marines comandata dal sergente Frank Wuterich, 25 anni. Mentre vengono prestati i primi soccorsi ai feriti, i soldati si dispongono in assetto di guerra al centro della carreggiata. Fatalità vuole che proprio in quel momento stia sopraggiungendo una Opel bianca con cinque persone a bordo, quattro studenti liceali e un autista. I marines, contravvenendo alle loro regole d'ingaggio e a qualsiasi logica, fermano la vettura, fanno scendere gli occupanti terrorizzati e - secondo numerose testimonianze - li freddano a colpi di mitra. Mentre arrivano rinforzi e un elicottero sorvola la zona, scatta il rastrellamento dei soldati Usa, che con la scusa di cercare gli attentatori uccidono altre 19 persone, tra le quali vecchi, donne e bambini anche piccolissimi. Una mattanza agghiacciante che, dopo un maldestro tentativo di insabbiamento il giorno successivo, suscita un enorme scandalo, la protesta ufficiale del governo iracheno, polemiche, un'inchiesta e un procedimento giudiziario ancora in corso, e una ricaduta pessima sui rapporti tra esercito statunitense e popolazione locale...
Adelphi pubblica in volume un reportage che negli Usa ha fatto epoca: originariamente pubblicato sulle pagine del periodico Vanity Fair, il lungo e avvincente articolo dell'inviato William Langewiesche racconta uno degli episodi più infami dell'Operation Iraqi Freedom (a proposito, sapevate che originariamente l'invasione militare dell'Iraq del 2003 era stata battezzata dal Pentagono Operation Iraqi Liberation ma che il nome in codice è stato modificato in fretta e furia quando ci si è accorti che l'acronimo OIL, "petrolio", avrebbe causato - come minimo - l'ilarità generale?). Oltre a ripercorrere nei minimi dettagli col piglio delle grandi inchieste giornalistiche d'altri tempi i tragici eventi di quel maledetto 19 novembre 2005, il libricino (80 pagine da leggere tutte in una volta) analizza gli errori e le contraddizioni dell'approccio tattico-militare delle truppe Usa alla guerra irachena alla luce di questo e di altri fatti di sangue accaduti negli anni di occupazione. Il dibattito politico statunitense sulla questione-Iraq viene esposto, sbattuto sul tavolo autoptico con le sue lacerazioni in bella vista: "La destra sostiene che ogni accusa contro i militari è un attentato al patriottismo. La sinistra usa i soldati come simboli e pretesti nella sua lotta contro la guerra", accusa Langewiesche in una recente intervista. "Ora, se le due parti si sedessero un attimo a tavolino si renderebbero conto che le loro posizioni andrebbero cambiate, spostate di 180°. Se la destra vuole supportare Bush e la sua politica militare dovrebbe rifuggire da questo emozionalismo e dall'approccio troppo passivo e comprendere che un processo giusto e severo ai soldati che commettono crimini del genere potrebbe solo andare a favore degli Usa, senza mettere in discussione le scelte di politica estera. Alla sinistra che vuole quei soldati impiccati in pubblico sarebbe utile capire che forse non si tratta di criminali che vengono coperti da manovre occulte, ma che ciò che va messo al centro della discussione è lo svolgimento 'normale' della guerra". Postilla: il 18 settembre 2007 quattro dei marines coinvolti sono stati rinviati a giudizio con pesanti accuse: soprattutto il sergente Wuterich - l'unico che ha adottato una strategia di difesa processuale basata sull'assunto "Così deve agire un marine" - rischia l'ergastolo o addirittura la pena di morte per crimini di guerra.
Adelphi pubblica in volume un reportage che negli Usa ha fatto epoca: originariamente pubblicato sulle pagine del periodico Vanity Fair, il lungo e avvincente articolo dell'inviato William Langewiesche racconta uno degli episodi più infami dell'Operation Iraqi Freedom (a proposito, sapevate che originariamente l'invasione militare dell'Iraq del 2003 era stata battezzata dal Pentagono Operation Iraqi Liberation ma che il nome in codice è stato modificato in fretta e furia quando ci si è accorti che l'acronimo OIL, "petrolio", avrebbe causato - come minimo - l'ilarità generale?). Oltre a ripercorrere nei minimi dettagli col piglio delle grandi inchieste giornalistiche d'altri tempi i tragici eventi di quel maledetto 19 novembre 2005, il libricino (80 pagine da leggere tutte in una volta) analizza gli errori e le contraddizioni dell'approccio tattico-militare delle truppe Usa alla guerra irachena alla luce di questo e di altri fatti di sangue accaduti negli anni di occupazione. Il dibattito politico statunitense sulla questione-Iraq viene esposto, sbattuto sul tavolo autoptico con le sue lacerazioni in bella vista: "La destra sostiene che ogni accusa contro i militari è un attentato al patriottismo. La sinistra usa i soldati come simboli e pretesti nella sua lotta contro la guerra", accusa Langewiesche in una recente intervista. "Ora, se le due parti si sedessero un attimo a tavolino si renderebbero conto che le loro posizioni andrebbero cambiate, spostate di 180°. Se la destra vuole supportare Bush e la sua politica militare dovrebbe rifuggire da questo emozionalismo e dall'approccio troppo passivo e comprendere che un processo giusto e severo ai soldati che commettono crimini del genere potrebbe solo andare a favore degli Usa, senza mettere in discussione le scelte di politica estera. Alla sinistra che vuole quei soldati impiccati in pubblico sarebbe utile capire che forse non si tratta di criminali che vengono coperti da manovre occulte, ma che ciò che va messo al centro della discussione è lo svolgimento 'normale' della guerra". Postilla: il 18 settembre 2007 quattro dei marines coinvolti sono stati rinviati a giudizio con pesanti accuse: soprattutto il sergente Wuterich - l'unico che ha adottato una strategia di difesa processuale basata sull'assunto "Così deve agire un marine" - rischia l'ergastolo o addirittura la pena di morte per crimini di guerra.