
Nel gennaio 1926 la Germania post-Prima guerra mondiale si sta già organizzando dalle ceneri della Conferenza di Pace di Parigi del 1919: l’Europa è in fermento all’idea che si possa ripresentare una “caso Germania” e sono molte le aspettative che si nutrono nei confronti della grande potenza, non più impero, ma ormai repubblica. Per queste ragioni, Thomas Mann accetta di buon grado l’invito ad un ciclo di conferenze organizzate proprio a Parigi in collaborazione con l’ambasciata tedesca e decide di soggiornare con la moglie per qualche settimana nella capitale francese, nell’Hotel Palais d’Orsay, in pieno centro. Dopo un viaggio in treno, scandito da alcune tappe anche in città tedesche, il letterato alemanno si trova a suo agio nei salotti culturali della Ville Lumières: non mancano momenti di tensione, ma sente il peso della sua missione diplomatica, quella di raccontare cosa succede in Germania e di rassicurare sull’anima pacifista del nuovo corso governativo. Un Paese che si sta dedicando alla ricostruzione. Si passa da una passeggiata lungo la Senna alla ricerca di libri ad un salotto borghese, da una cena a dotte chiacchierate di rito. Anche un po’ annoiato, ma sempre attento a quello che si dice e si mormora, Thomas Mann ragiona fra idee e consigli, ripercorre le sue opere e quelle altrui, in discussioni appassionanti…
Thomas Mann aveva terminato da un paio di anni La montagna magica (o per altri La montagna incantata) ed era nel 1926 una delle voci più influenti e conosciute del panorama tedesco. Aveva aderito con entusiasmo alla repubblica di Weimar e continuava a scrivere e commentare l’atavico orgoglio tedesco diviso fra Kultur e Zivilisation, attraverso l’impietosa lente del borghese reazionario che emerge da Discorso di un impolitico. L’impegno sociale, politico ed etico di Mann ferve in quegli anni di grandi cambiamenti e l’intellettuale, anche in modo un po’ narcisistico, non si sottrae ai confronti con i colleghi francesi, giudicati sempre dall’alto al basso, quasi con un fare di paterna sopportazione. Il libriccino, interessante, costituisce un tassello importante per la comprensione a tutto tondo della figura di Mann: lo stile asciutto, ma non per questo superficiale, l’attenzione a particolari quotidiani (dalle lenzuola dell’albergo alla degustazione dei vini) permette di (ri)scoprire un lato colloquiale e quotidiano che a volte manca nelle sue opere. Purtroppo l’edizione, pure elegante e ben confezionata, non è curata quanto dovrebbe: l’assenza di un apparato esplicativo di note nonché quella di una anche smilza introduzione ne rendono la lettura decontestualizzata. Per quanto la scelta di restituire il testo nella sua forma più leggibile e leggera sia sicuramente positiva per il lettore amante della parola, non è facile districarsi fra le citazioni implicite del diario, ricco di riferimenti a persone ed opere che, importanti allora, si sono in parte perse nel tempo.