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Rex

Rex

Johnny era ancora piccolo quando lo zio si presentò nella casa dove lui viveva con la sorella e i genitori e chiese loro di allevare per lui un cucciolo di cane. La madre acconsentì suo malgrado e toccò a Johnny andare a prenderlo nel pub dello zio, in città, tornando con il treno ed il cane nascosto nella mantellina. Quel nome, il cane, lo deve ad una battuta sarcastica della madre di Johnny: Rex, il Sovrano, per come si atteggiava in casa. Da lì in poi l’educazione del cucciolo proseguì a fasi alterne, tra il padre che lo richiamava con voce stridula e dolci nomignoli per poi picchiarlo senza pietà quando voleva punirlo. Come quella notte che voleva convincerlo a dormire nella sua cuccia. E la madre che lo detestava, o forse fingeva di detestarlo, per controbilanciare l’infatuazione dei suoi figli. Rex ricambiava le punizioni con un atteggiamento di sfida. Una delle cose più incomprensibili, per i bambini, fu il fatto che a Rex dovesse essere tagliata la coda, per di più con un morso. La spiegazione dei grandi era che questo avrebbe reso il cane più virile. Il risultato fu che emerse la vera natura canina di Rex, quella di feroce cacciatore. Da quel momento in poi, Rex divenne un pericolo pubblico per il quartiere: attaccava gli estranei, primi fra tutti il postino. Anche in casa reagiva alla minima provocazione: si buttava contro la scopa quando la madre puliva; se aveva un osso in bocca ringhiava all’avvicinarsi di chiunque. E si divertiva a portare in casa prede scovate chissà dove. Ma ai bambini non fece mai del male: loro sapevano come prenderlo e adoravano il suo caratteraccio. In realtà non fece mai male a nessuno, anche se tutti lo fuggivano. Capitò anche che scomparve, due o tre volte, lasciando i bambini in lacrime, incapaci di reagire alla tristezza, per ripresentarsi trotterellando e scodinzolando, come niente fosse. Un brutto giorno però ricomparve lo zio che catturò Rex e lo portò via sul suo calesse, legato perché si divincolava per tornare dai suoi adorati bambini che lo guardavano attoniti e, anche loro, disperati. Questo rese Rex sempre più pericoloso, finché lo zio non dovette prendere una tragica decisione...

La casa editrice Orecchio Acerbo ha inaugurato la nuova collana “Pulci”, curata da Fabian Negrin. Tre i libri, illustrati da Negrin, che danno il via alla serie: oltre a Rex, Lo zio del barbiere e la tigre che gli mangiò la testa di William Saroyam e Canituccia di Matilde Serao. Brevi testi classici, racconti d’autore, di “bambini che si misurano con un mondo severo, estraneo e, spesso, assurdo e incomprensibile: quello degli adulti”, recita la terza di copertina. Non si tratta esattamente di “libri illustrati”, ma le immagini aprono e chiudono il testo. In Rex, le immagini interne sono quattro: la prima e l’ultima a doppia pagina; la seconda e la penultima riprendono dei particolari delle prime due; la quinta immagine caratterizza la veste editoriale della collana, occupando completamente la copertina. Titolo, autore, illustratore e casa editrice, invece, si possono leggere in quarta, sul retro. Quella di Rex è la storia di un amore tra due bambini e un cane, un rapporto assolutamente non compreso, quasi osteggiato, dagli adulti, raccontato in prima persona dal piccolo Johnny che infatti commenta: “Se fosse stato affidato a mio padre e mia madre, avrebbe fatto cose pazzesche e avrebbe finito per farsi sbranare”. Invece lui amava i bambini di “un amore gioioso e fiero” e loro lo ricambiavano “con tutto il cuore”.