
L’infanzia per la maggior parte delle persone è il momento più bello della vita. Tutto questo non vale se vieni dotato di una bruttezza straordinaria o, viceversa, di una bellezza senza precedenti. Deodato è l’esempio vivente del primo caso. Come ammette lui stesso, la natura sembra averlo fornito di un catalogo infinito di orrori. Brutto da bambino, gobbo e solitario da adolescente, costretto in un busto-carapace che dovrebbe alleviare le sue misere sofferenze, non gli rimane che dedicarsi anima e corpo all’ornitologia, scienza di cui diventa in breve un esperto. A onor del vero le ragazze sembrano anche essere attratte dalla sua diversità fisica e mentale, ma a lungo andare non riescono ad accettare i suoi modi grossolani e soprattutto la sua indifferenza verso l’amore. In un’altra parte della Francia, Altea delizia gli occhi di chi la guarda con la sua estrema beltà. Nata in una famiglia dai nomi botanici e dai modi alquanto sbrigativi, viene cresciuta dalla nonna chiromante e sciamana che le fa scoprire il potere segreto dei gioielli. Bella Altea lo è sempre stata, ma appare anche meditabonda, spesso poco reattiva, in uno stato continuo di contemplazione quasi serafica. Non ha amici perché a scuola tutti la reputano sciocca, insegnanti compresi, tanto da meritarsi gli scherzi più crudeli vista la sua mancanza di emozioni. Se viene usata come trampolino di lancio, o di arrivo, dagli altri bambini, Altea si immola in silenzio pensando di avere un dono speciale. Abbandonati eventuali progetti di educazione superiore, da grande diventa una modella per gioiellieri parigini di fama mondiale. È così celebre che viene invitata ad un talk show televisivo. Insieme a lei, tanti ospiti diversi, tra cui un noto ornitologo dall’aspetto piuttosto bizzarro…
Amélie Nothomb prende una fiaba breve di Charles Perrault della fine del 1600 e la trasforma in un romanzo breve ambientato nei nostri giorni. Riquet à la houppe ‒ secondo la storica traduzione del 1875 di Carlo Collodi Enrichetto (Richetto) dal ciuffo, ma per una discutibile scelta della casa editrice reso qui con un meno musicale, ma forse più filologicamente corretto Riccardin ‒ mantiene l’impianto principale della fiaba tradizionale, pur con evidenti variazioni nella storia narrata. La scrittrice belga appare però ormai profondamente stanca, fiaccata forse dall’abitudine di scrivere e pubblicare inesorabilmente un romanzo all’anno. La natura mordace e sarcastica dei suoi primi romanzi si intravede in parte nella descrizione degli anni scolastici patiti dai protagonisti, per poi perdersi definitivamente nel finale. Unica nota positiva è il personaggio della nonna di Altea, che si può facilmente definire il più “nothombiano” di tutto il libro. Lo stesso divertimento con cui forse l’autrice deve aver scritto questo romanzo non raggiunge, purtroppo, i lettori, soprattutto quelli che la seguono da molti anni e che si ritrovano con un forte senso di frustrazione nel voltare l’ultima pagina. Ciliegina su questa torta difficilmente digeribile, la postfazione finale, un’aggiunta a dir poco superflua di pagine stampate che fa emergere dubbi sulla vera motivazione che ha spinto la Nothomb a scrivere l’intero libriccino.