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Riccardino

Riccardino

Non sono ancora “le cinco del matino” che il telefono si mette a suonare, svegliando Salvo Montalbano che finalmente si era addormentato dopo una notte insonne, “’na botta d’insonnia senza rimeddio, pirchì non scascionata da un eccesso di mangiatina o da un assuglio di mali pinzeri”. Di certo chiamano dal commissariato, “doviva essiri capitata qualichi cosa di grosso”. E invece è una voce sconosciuta “squillanti e fistevoli” che annuncia: “Riccardino sono!”. Montalbano, piuttosto irritato – “come minchia si fa ad essiri squillanti e fistevoli alle cinco del matino?” – sta per mandare lo sconosciuto “a piglirisilla in quel posto” quando viene anticipato da quello che gli rimprovera di essere in ritardo, che manca solo lui e che sono già tutti lì al bar Aurora. La tentazione della “carognata” è troppo forte, il commissario risponde che sta per arrivare, riattacca e se ne torna a dormire. Passate da poco le sei il telefono suona ancora e stavolta è davvero Catarella, come al solito confusionario, con cattive notizie. “Da qualichi tempo gli fagliava la gana” e Montalbano vorrebbe tanto poter chiamare Mimì Augello ma non è in servizio per motivi familiari, e gli tocca quindi raggiungere Fazio sul posto dove hanno sparato ad un tizio di prima mattina. Ma il nervoso di inizio giornata è destinato ad aumentare. Affacciata ai balconi c’è un sacco di gente che se lo indica a vicenda e si chiede se sia “chiddro vero” o “chiddro di la tilevisioni”. Colpa sua: dieci anni prima aveva raccontato ad un autore locale una storia che gli era capitata e quello ci aveva scritto un romanzo, poi le storie erano diventate di più ed erano finite persino in televisione. Il risultato? “’No scassamento di cabasisi ‘insupportabili, che pareva nisciuto paro paro da ‘na commedia di ‘n autro autore locali, un tali Pirandello”. E il meglio deve ancora arrivare. Il morto ha il volto devastato da un colpo di pistola, accanto alla mano per terra c’è il suo cellulare e si trova vicino ad una insegna che recita Bar Aurora. Dal racconto dei tre amici che hanno assistito alla scena, dopo aver chiuso la chiamata (proprio quella arrivata per errore a Montabano!), il giovane è stato colpito da un tizio arrivato su una grossa moto nera. Il morto è Riccardino Lopresti, trent’anni come i suoi amici – che si conoscono fin dalla prima elementare – ed era impiegato nella sede cittadina della Banca Regionale, era sposato con una tedesca (che detesta i suoi amici) e non aveva figli. A partire da questo affiatato (affiatato?) gruppo di amici che tutti chiamano “i quattro moschettieri”, il commissario comincia le indagini che subito evidenziano qualche stranezza. Ma per lui adesso ogni cosa risulta faticosa; non ha perso affatto il fiuto da sbirro, quello no, ma c’è come una stanchezza profonda che lo rende insofferente. Per non parlare della mezza discussione rimasta in sospeso al telefono con Livia e soprattutto della storia del “profissori autori”, come lo chiama Catarella, che ogni tanto lo chiama da Roma. Davvero una gran camurrìa…

Come è ormai noto a tutti, l’ultimo capitolo della lunga serie di ventisette romanzi cominciata nel 1994 con La forma dell’acqua dedicata al commissario Salvo Montalbano, la creatura letteraria italiana più famosa degli ultimi decenni e quella più nota di Andrea Camilleri che ci ha lasciati il 17 luglio 2019, giaceva in un cassetto (non in una cassaforte, ricordava lui ridendo e alludendo alle voci che giravano) dell’editore fin dal 2005 – la stesura era cominciata il primo luglio 2004 ed era terminata il 30 agosto 2005 -, consegnato nelle mani dell’”amica del cuore” Elvira Sellerio cui è dedicato. Il Maestro lo aveva raccontato così: “Volevo prevedere l’uscita di scena di Montalbano, mi è venuta l’idea e non me la sono fatta scappare. Quindi mi sono trovato a scrivere questo romanzo che rappresenta il capitolo finale, l’ultimo libro delle serie. E l’ho mandato al mio editore dicendo di tenerlo in un cassetto e di pubblicarlo solo quando non ci sarò più”. Nella nota finale di quella versione scriveva “Me ne rincresce, ma a ottant’anni è inevitabile che si metta fine a tante, troppe cose”. Invece di romanzi ne seguirono poi diciotto, fino all’ultimo del 2018,Il metodo Catalanotti, che già nello stile sembra gettare un ponte ideale con il postumo Riccardino. Inoltre Camilleri parla di un “problema scaramantico” che gli si era presentato, ovvero evitare quanto accaduto ai suoi due autori di riferimento Jean Claude Izzo e Manuel Vàsquez Montàlban che volevano far morire i loro personaggi ed erano morti prima loro. Nel 2016, all’età di novantun anni, il Maestro decide di “sistemare Riccardino” (parole sue nella nota finale) con l’aiuto ormai indispensabile di Valentina Alferj, senza cambiare nulla della trama ma ritenendo “doveroso aggiornare la lingua”. In una intervista più recente ha detto, “La fine di Montalbano l’ho già scritta tredici anni fa. Recentemente l’ho rimaneggiata dal punto di vista stilistico. Non del contenuto. Finirà Montalbano, quando finisco io, uscirà l’ultimo libro. Quello che posso dire è che non si tratta di un romanzo, quanto di un metaromanzo dove il Commissario dialoga con me e anche con l’altro Montalbano, quello televisivo”. Mai come in questo romanzo così anomalo a cominciare dal titolo – che da provvisorio diventa definitivo per affezione – e persino dalla telefonata iniziale che puntualmente interrompe il sonno di Montalbano che stavolta non arriva dal confusionario e tenero Catarella ma proprio dal Riccardino del titolo, mai come questa volta la trama dell’indagine è del tutto secondaria. Mancano quasi tutti i personaggi sullo sfondo che sembrano sbiaditi, mancano i luoghi, mancano persino le pietanze che ci facevano sentire il profumo come fossimo a tavola con il commissario: Montalbano non ha nemmeno “gana di abbuffatine”. C’è invece tanta malinconia. E anche tanta ironia, come sempre, ma più amara, anche quella dal sapore pirandelliano come tutto l’impianto della storia, chiaramente un omaggio al suo di Maestro. Lo ha detto Camilleri stesso, è un metaromanzo nel quale l’esperienza del teatro – a lui tanto caro – ha un peso notevole; una storia in cui i protagonisti veri sono Pupo e Puparo che ingaggiano un duello surreale, una resa dei conti tra autore, personaggio letterario e personaggio televisivo (che dal 1999 ha reso ancora più famoso Montalbano), che già in alcuni romanzi precedenti aveva fatto capolino. Questa storia di corna, mafia, chiesa e politica – ricordiamo che nei romanzi della serie sono stati sfiorati costantemente temi “impegnati” a cominciare da mafia e emigrazione cui la Sicilia ha pagato sempre e continua a pagare un prezzo altissimo – ha deluso qualche fan, molti ne ha spiazzati di certo. Ovviamente il fulcro attorno al quale è costruito Riccardino è l’uscita di scena di Montalbano, che naturalmente non si può qui raccontare. Si può però osservare che, quando le critiche negative sostengono che i personaggi e lo stesso Montalbano sembrano, come già detto, sbiadire riga dopo riga, in realtà non fanno che confermare che il Maestro è riuscito in quello che intendeva fare. Nessuna uscita drammatica, nessun addio, piuttosto uno scomparire in dissolvenza tra le pagine come in una magia, la stessa magia narrativa durata per decenni e tenuta in vita sulla carta, in televisione e nel cuore dei lettori. Camilleri è stato un mestierante? Può essere, ma certo è stato uno tra i più bravi, perché dominare le classifiche con oltre 100 titoli e 30 milioni di libri venduti per anni ad ogni uscita non è così comune; perché dare ad un editore, all’epoca prestigioso ma piccolo, quello che lui ha dato a Sellerio non è da tanti; perché creare una geografia e una lingua che diventano patrimonio di tanti fan, non soltanto in Italia non è che capiti così facilmente; perché creare un vero e proprio itinerario da turismo letterario succede di rado. Sellerio pubblica Riccardino in due versioni, una delle quali, in elegante copertina rigida, comprende le due stesure del romanzo così da consentire al lettore di confrontarle e osservare le difformità linguistiche e lessicali, anche qui esaudendo il desiderio dell’autore che dice “Mi pare possa giovare far vedere materialmente al lettore l’evoluzione della mia scrittura”. Imperdibile per ogni vero fan del commissario più amato d’Italia e del vecchio Maestro siciliano. E adesso addio davvero, Montalbano, ti immagineremo per sempre sulla tua verandina con lo sguardo perso lontano sul mare e a respirarne il profumo.