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Ricette migranti

Ricette migranti

I piatti, prima ancora che oggetti d’uso comune, sono dei luoghi in cui si concretizzano quotidianamente le storie. Vere e proprie scenografie per rappresentazioni che hanno ingredienti come attori. Sul piatto atterra il viaggio di ogni prodotto alimentare, che porta con sé il ricordo della sua produzione, del suo viaggio, della sua trasformazione. Ma sul piatto si concretizzano soprattutto le storie di chi quei prodotti li combina, li modella, li mastica e li digerisce. Quasi come la lingua materna e le favole ascoltate da bambini, tutti noi ci portiamo dentro un babaglio di sapori, odori e colori che possiamo raccontare in forma di ricetta. Quando viaggiamo, quella valigia è sempre con noi. E così la Shuba racconta degli ebrei ucraini e di Alina che è arrivata in Italia portando quel racconto fatto di sapori con sé. Lo Zighinì con verdure racconta l’Eritrea e il viaggio che Senait ha compiuto per portare quel piatto con sè fino a Verona. La Tajin di manzo dice di Fatiha e del suo Marocco. Le Petulla albanesi raccontano di pomeriggi passati a sorseggiare caffé e a decidere sul futuro: se compiere o no quel viaggio e cominciare una nuova vita in terra straniera. L’Onighiri giapponese dice qualcosa della vita di Makiko, designer impiantata in Italia, così come il sapore dei Börek turchi sa anche della storia di Ipek, ricercatrice stabilitasi a Verona. Il pollo alla cola, per esempio, può riportarci ai sapori d’infanzia di Yi e di tutti i bambini cinesi. E così via…

Sono venti le storie/ricette raccolte in Ricette Migranti. Venti piatti, venti paesi, venti persone che hanno fatto dell’Italia, e del Veronese in particolare, la loro terra di adozione. Lo sappiamo, dopo la madeleine di Proust, il cibo non è più semplicemente quella cosa che serve a riempiere lo stomaco. Il rapporto si rovescia: noi non siamo più il contenitore del cibo, ma è quest’ultimo a diventare contenitore di noi stessi, dei nostri ricordi, delle nostre storie, dei nostri luoghi. Nei gesti che scelgono gli ingredienti, che li lavorano, che li combinano, si condensano significati profondi che ruotano attorno all’atto fondamentale del vivere e nel quale tutti i sensi sono coinvolti: il mangiare. Si sente dire ormai dappertutto che siamo ciò che mangiamo e questo è vero in senso fisiologico, ma forse soprattutto in senso culturale. Perciò, scoprire nuove ricette, nuove combinazioni, nuovi sapori è sempre un incontro con l’altro, è una migrazione che compiamo verso una maggiore ricchezza culturale, una maggiore consapevolezza della meravigliosa e pullulante varietà del mondo. Incontriamo l’altro nei nostri palati, lo accogliamo e lo trasformiamo in noi. Su questi presupposti si regge il senso di questo simpatico volume che ci dà occasione di sperimentare e conoscere ricette nuove, collegandole a storie personali di migranti che hanno scelto l’Italia come tappa del loro viaggio, sicuramente anche perché ne hanno apprezzato il sapore.