
Il pendolo dell’esistenza oscilla tra sogno e veglia: tra realtà e visionarietà. Ed entro la cornice dell’incessante dileguare del tempo. Proprio la temporalità così come viene percepita dal poeta, con le sue smagliature, le sue contraddizioni, sfocia in atmosfere continuamente mobili. Sotto il segno dell’instabilità. La stessa che connota la traiettoria esistenziale del soggetto. Perché nel tempo sfilano vorticosamente le immagini suscitate dalla natura: fiori, colori, odori, distese marine, il placido lago di Como. Tutto ciò filtrato dalla lente talvolta volutamente sfocata del poeta. Il continuo passare dal sonno alla veglia, e viceversa, si traduce così in atmosfere ovattate, spesso soffuse di malinconia. La voce, flebile, della poesia allora diventa il veicolo per un incontro con il mondo e la propria interiorità, in cui ribollono ricordi continuamente ritornanti. Aggrapparsi alla memoria, perciò, significa ripescare eventi mai chiusi del tutto; ritrovare i cari perduti e i luoghi vissuti. Questo riaffiorare dei ricordi, tra sogni e risvegli, innesca una vera e propria fenomenologia dei sentimenti: reverie, visionarietà onirica, abbandono al sogno e al risveglio stuporoso. In qualche caso, cupio dissolvi, più spesso desiderio di un eterno ritorno del medesimo, propizio per ripetere il gioco della poesia e necessario a dare un senso alla vita. Vita che scorre rapida come un fiume. Mentre aleggia, cupa e sinistra, la morte. Presenza inquietante e incombente in tante composizioni. Solo smorzata dall’effimero amore che ne intralcia vanamente l’inesorabile avanzare. Perché se è vero che ‵‵tutto tornaʺ, ciò può accadere soltanto grazie alla possibilità del sogno. E della poesia...
Ros Lo Conte, un passato in Campania e un presente a Como, ha già pubblicato diverse raccolte di poesie, saggiando i temi più diversi. In quest’ultima fatica ha ulteriormente raffinato il suo stile, privilegiando, il verso breve, incisivo, quasi scolpito. Ripudiando orpelli retorici superflui, e preferendo un linguaggio scarnificato, essenziale. Ci sono perciò poesie che hanno una cadenza prosastica, con una maggiore estensione del verso; in altre circolano suggestioni e atmosfere pascoliane, anche con il ricorso al simbolismo floreale. È il caso di Mimosa pudica, emblema della vita che deve chiudersi in sé, per poi riaprirsi alla realtà. Lo stesso alternarsi tra sogni e risvegli corrisponde perfettamente al dualismo dell’esistenza soggettiva: tra introiezione e sguardo rivolto al mondo esterno. Scandagliare sé stesso significa, per il poeta, rivivere momenti dolorosi e sensazioni felici ma effimere. Perciò la sua poesia è anche uno sprofondamento à rebour. E uno strumento consapevolmente impiegato per frantumare le barriere temporali, sapendo di trovarsi ormai nella ‵‵stagione settembrinaʺ della vita. Ben asseconda questa ricerca del tempo e delle immagini perduti, riprodotti sovente in modo visionario, l’apparato iconografico di Cosimo De Santis. Di chiara impronta surreale, con l’affastellamento di immagini spesso dissonanti. Così come accade nelle poesie, in cui l’accostamento di termini antitetici sfocia in un sapiente gioco di ossimori. A riprova del fatto che il poeta ha accuratamente cesellato i suoi versi. Magari partendo da sensazioni immediate, da lampi della memoria, senza rinunciare ad un innato virtuosismo tecnico, esibito in un Sonetto interrotto e in tante rime, baciate o alternate, e assonanze musicali.