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Per ritrovarti devi prima perderti

Per ritrovarti devi prima perderti

Sapersi orientare autonomamente potrebbe apparire superfluo in epoca di GPS. Anche gli itinerari degli escursionisti, almeno nel mondo occidentale, al pari dei percorsi dedicati agli sport outdoor, sono ormai tutti individuabili e ben determinati. Perché impegnarsi allora a risvegliare le doti umane di lettura e interpretazione della Natura per sapersi muovere? Oddio, magari per non trovarci in difficoltà se durante una gitarella in montagna ci si scarica la batteria dello smartphone, o se in una foresta ci troviamo senza campo... basta così? Forse c’è di più. Non sarà che le opportunità offerteci dall’infinità di Applicazioni e sistemi tecnologici elaborati da altri si stia, al contrario, rivelando una schiavitù? Un’apparentemente comoda delega – con contestuale rinuncia - alle nostre capacità innate. Le ragioni che dovrebbero stimolarci a ritrovare il “senso dell’orientamento”, risiedono in un ambito più profondo del semplice bisogno di ritrovare una via perduta in un bosco o su un monte. Potrebbero abitare nel bisogno che attiene alle capacità di scelta circa le direzioni da prendere –anche e soprattutto individualmente- non solo nell’ambiente naturale, ma anche nell’interiorità e nell’osservazione di tutto ciò che ci circonda. Saper distinguere dei riferimenti e, ancora di più, saperli interpretare, è forse l’anticamera per arrivare ad essere in grado di scegliere un percorso, evitando di seguire il flusso di informazioni predeterminate che ci sta rendendo, di fatto, sudditi di chi le produce...

Un manuale di escursionismo? Un saggio filosofico, sociale, antropologico? Non lo so. So solo che Franco Michieli - esploratore e geografo ormai aduso a percorrere vasti territori senza mappe e strumenti tecnologici - produce pagine meravigliose che sarebbe riduttivo costringere in un “genere”. Pagine nelle quali confluiscono i pensieri elaborati da uno che di strada ne ha fatta tanta. Concetti nudi, diretti, frutto del necessario. Perché sapere interpretare la realtà al nocciolo delle cose è il presupposto indispensabile per non farsi disorientare: solo sviluppando la capacità di lettura di ciò che costella il nostro percorso ha il potere di fugare la paura di smarrire la strada. Ecco perché diventa fruttifero il sapersi perdere. Per conoscere, esercitare, o ritrovare la dimensione della scelta; per tornare a esercitare le proprie, necessarie e vitali, prerogative umane. Qui il tema è di estrema attualità: quanto stiamo delegando l’elaborazione del pensiero e delle conoscenze acquisite ed acquisibili? Non comporta forse, questa delega alla tecnologia, una perdita di autonomia? Verrebbe da pensare a come hanno fatto a sopravvivere alcune popolazioni senza terra e senza esercito, costrette ad affrontare continuamente, nei secoli, un percorso da scegliere. Non sarà stato forse per la capacità di leggere, nel modo più rapido possibile, i segnali circostanziali e saper gestire le “crisi”? Le “crisi”: quei momenti nei quali, per trarci dai guai, ci appropriamo, o riappropriamo, di doti che neanche pensavamo di possedere.