
Si parte da una prima, bizzarra vicenda ambientata al famigerato Laghetto dell’Eur. C’è una tizia che ne se sta bella tranquilla, distesa su una barchetta, a prendere il sole; è tutta rilassata e addirittura ha quasi voglia di remare. Il suo compagno non fa una piega: “No, non sono stanco. Devo parlarti, è un po’ che mi sento strano”, stacco. Vediamo tutto dall’alto. Silenzio. Lui sembra vagamente Jabba The Hutt; in realtà è un cuore. In senso stretto: un cuore abnorme, antropoide, con le braccia e le manine, e niente, dice che si sente come oppresso, tipo, annoiato, come se avesse bisogno di tutto un altro ritmo, no?, di uno spazio differente. E lei, un po’ stupita: “Più spazio di così? Siamo al lago, non ci vediamo da quanto? Dieci giorni?”. Torniamo a vedere la scena. Il cuore antropoide che somiglia vagamente a Jabba continua nella sua improbabile imbastita: “Non so, Olivia, sento che mi hai inserito in una progettualità che forse non collima con la mia volontà di vivere il momento”, e via dicendo. L’epilogo è un segreto. E poi “Cigni! Cigni! Cigni! Venite, belli...”. E poi passiamo a un’altra storia, stavolta ce ne stiamo dalle parti di Piramide. C’è un giardiniere, o forse è un addetto alle pulizie, vai a capire, che sta vagando per il Cimitero Protestante, dalle parti delle tombe di Gramsci, di Keats e Shelley. Intorno a lui non c’è un’anima viva (eh). Ci sono invece tre strane sacerdotesse, con un insolito cappello a punta. “Ve l’ho detto, ho fatto richiesta di cambio di culto già un mese fa: ora posso averlo un gatto, sì o no?”. Silenzio. Osserviamo la scena da una discreta distanza. Mastichiamo la pace del Cimitero Acattolico. Una delle tre sacerdotesse sta allattando un gattino; due cuccioli stanno alle sue spalle, in attesa di coccole (chissà). Adesso che guardo bene il suo cappello noto che ha le orecchie da gatto e degli occhi felini, posticci. Così le altre due sacerdotesse. Stanno là in piedi, le altre due, ieratiche, e non sentono ragioni: niente. Gattare totali universali. Irremovibili. “Da noi risulta che lei è ancora affiliato al culto di Ganesh. Per noi è un eretico. Pertanto lei non è degno di possedere un gatto”. E niente: il giardiniere, o forse era un addetto alle pulizie, vai a sapere, rimane malissimo ed esce da là, e punta Porta san Paolo, alza lo sguardo al cielo come per domandare sostegno, e... piovono rane. Parecchie. Stanno in anticipo: erano previste per le cinque, ma...
Nove racconti illustrati scritti da Eleonora Amianto e Simone Tso, originariamente apparsi sulla rivista «Zero», destinati a raccontare Roma coi canoni giusti, “ovvero quelli sbagliati”, per dirla con le parole del caporedattore della rivista, Nicola Gerundino: perché Roma è un cut-up. “Un cut-up sbagliato, sconclusionato, incasinato, rumoroso. Un ammucchiarsi di cose talmente continuo e vorticoso da diventare lisergico. Non parlo solo di strade e architetture, ma anche di vite, di persone. Tutto a cazzo, sempre”. Eleonora Amianto e Simone Tso volevano raccontare una Roma “cattivissima e dissacrante”, assurda (più assurda di quella che viviamo, sì) e spietata (davvero). Lunatico, alogico, imprevedibile e improbabile, Roma Terribile è un giocattolo d’autore: un esperimento buffo, onirico e strampalato. Amaro e mattoide, caustico e oscuro, esorcizza le nevrosi, le paranoie, le sofferenze e le assurdità della vita nella metamorfica e ormai spesso illeggibile Urbe tingendola di fantasie parossistiche e superbo cazzeggio. Qua e là si intravedono tracce di profonda umanità, di sentimenti feriti e di abbandoni, di respingimenti e di rifiuti: tutto è stato perdonato (si fa per dire), perché tutto è stato estetizzato; inutile robotizzarci o automatizzarci, resteremo umani. Siamo amabili sbagli, crediamo nelle imperfezioni e nelle inesattezze, sproloquiamo, etc. L’edizione, una Bizzarro Books (marchio della Red Star Press), mi ha riportato, per l’estetica e per la concezione delle strisce, a certe letture fumettare degli anni Settanta e Ottanta, basilari sia per le (due) generazioni precedenti, sia per la mia, ex marmocchio nato nell’anno dei tre papi; questa è un’impostazione derivata da quando i fumetti uscivano a puntate sui quotidiani (cartacei), o su certe riviste; sapevano essere laconici e brucianti, corrosivi e immediati. Più di tutto, mi ha emozionato questa libertà creativa, così inconsueta in questi anni di depressione e di demotivazione diffusa (forse siamo riusciti a lasciare un po’ di respiro e di fantasia almeno ai nostri amati fumettari. Non ditelo a nessuno). Qualche cenno biobibliografico sugli artisti. Eleonora Amianto è il nome d’arte di Eleonora Susanna; cantante lirica, bassista e fumettara. Ha pubblicato racconti su diverse riviste. Simone Tso è lo pseudonimo di Simone Montozzi; altrettanto bassista, è grafico e illustratore. La sua prima graphic novel, Arca, è stata pubblicata da Rizzoli Lizard.