
Benvenuti a Roma. Chissà cosa sognate, cosa pregustate, cosa vi aspettate da questa visita mentre contemplate speranzosi e impazienti – inutilmente impazienti, dato che la vostra attesa probabilmente durerà molto a lungo – il nastro trasportatore dei bagagli all’aeroporto di Fiumicino. Probabilmente non vi aspettate una città in cui praticamente tutti (vigili urbani compresi) ignorano la toponomastica dei Lungotevere, in cui il trasporto pubblico è utilizzato solo dai ceti più bassi e in cui si registra il maggior numero di scooter immatricolati al mondo. Una città in cui la banda della Magliana è diventato un brand per teenager e in cui può capitare di leggere ex voto alla Madonna con scritto “Grazie lo stesso”. La città del manifesto segnaletico stampato dopo la scomparsa di Emanuela Orlandi, la città del “vogliono andare tutti a vederlo, a ‘sto papa, non ci si crede: quell’altro, il papa di prima, non ci andava nessuno”, la città dei trans che si abbuffano di fritto di pesce a Capocotta, la città che ha un cimitero grande come un quartiere (con tanto di linea di autobus interna!), la città dei negozi di indumenti religiosi, la città della mozzarella in carrozza e dei filetti di baccalà fritti…
Poderosissima “extended version” di un gustoso libriccino uscito circa un decennio fa, questa guida ai loci e al genius loci di Roma (che con una amara provocazione Abbate definisce “una Ciampino molto più grande”) riesce alla perfezione nel suo dichiarato intento di restituire “la percezione attuale del luogo” e racconta tra le righe la storia d’amore di un non romano - l’autore, palermitano di nascita, vive a Roma da più di trent’anni - con una città unica al mondo, bellissima e repellente, struggente e laida, simpatica e odiosa al tempo stesso. I brevissimi capitoli attraverso i quali si dipana l’itinerario capitolino di Abbate, che è controvento nel senso di controcorrente, anticonformista, controverso addirittura, non sono in ordine alfabetico ma si susseguono in “un crescendo analogico se non addirittura magico, di più, stocastico”. Innovativa (per un libro del genere) e interessante l’attenzione riservata ai protagonisti dell’Arte contemporanea, curioso il vezzo dell’autore di classificare il ceto dei quartieri romani usando come unità di misura il personale ospedaliero: primari, medici, infermieri e portantini.