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Ronnie Banti ha perso la scommessa

Ronnie Banti ha perso la scommessa

L’intestazione della lettera recita asettica, in corsivo: “Procedura di valutazione comparativa per la copertura di un posto di ruolo di ricercatore L-Art/06”. Per Ronnie Banti quello non è un concorso come altri a cui ha partecipato. Perché questa convocazione arriva da Siena, dove ha trascorso otto anni della sua vita. Perché il posto vacante è quello a cui aspirava Dario. L’amico di cui, a distanza di un decennio, ricorda ancora la risata, la “personalità tutt’uno con l’estetica - cappotto scuro alle ginocchia, foulard al collo e maniche di camicia arrotolate sui gomiti d’estate”, da cui ha imparato l’ostinazione, il non cercare scuse “partendo dall’assunto che si sceglie, in ogni caso, soprattutto quando si crede di non scegliere”. Dario, che amava raccontare come negli anni Novanta, grazie a una borsa di studio, fosse volato a New York, dove aveva frequentato una scuola di cinema nel cui corpo docenti c’era Werner Herzog, a cui aveva visto perdere una scommessa con uno studente. Dario, che lui, Ronnie, aveva perso di vista, dopo aver lasciato Siena, essersi accasato e accontentato di un lavoro al Viminale. Dario, che si era spesso ripromesso di chiamare. Poi era arrivato quel freddo pomeriggio d’inverno, quando l’amica Elisabetta gli aveva telefonato per dirgli che il corpo di Dario era stato ritrovato, senza vita. Ronnie sa che tra i candidati al concorso ci sono concorrenti con più titoli, con più pubblicazioni: qualcuno può addirittura vantare nel curriculum qualche anno da docente a contratto. Eppure sente di dover partecipare, di dover andare fino in fondo, per provare a sé stesso di essere in grado di “portare a termine qualcosa, per non sentirsi più un incompiuto”...

“Avrebbe dovuto fare i conti con tutti i buchi e gli strappi che portava dentro, col sentore di non riuscire a tenere insieme il puzzle di un mondo che gli veniva facile da affrontare solo se rinunciava a leggerne le coordinate [...] c’era, ogni volta, qualcosa che lo spingeva indietro, che lo teneva ancorato agli anni universitari, a quel frammento di vita senza eredità”. Simone Ghelli, laureato in Lettere e Filosofia presso l’Università degli Studi di Siena, un dottorato di ricerca al DAMS dell’Università di Roma Tre con una tesi intitolata Il cinema nelle sue interrelazioni con le altre arti, ha insegnato scrittura creativa all’Upter, l’Università popolare di Roma, ha fatto parte del collettivo “Scrittori precari” ed è stato redattore in riviste di cinema come “Close up. Storie della visione”, e letterarie, come “Cadillac Magazine”. Autore, perlopiù di racconti e scritture brevi, di recente ha pubblicato il romanzo Bianco su bianco (Castelvecchi). Ronnie Banti ha perso la scommessa è la storia della conclusione simbolica di un capitolo fondante della vita, della chiusura di un cerchio, del tentativo di elaborare un lutto. È il racconto del tentativo di sciogliere un nodo, originato dal venir meno del comodo rifugio delle infinite potenzialità - di lavoro, di studio, di carriera -, degli anni dell’università e del dottorato di ricerca senza borsa del protagonista, costretto a mantenersi con lavoretti precari: paradigma di una esistenza condotta senza “un metodo, né un obbiettivo”, sospesa tra insoddisfazione e la rabbia repressa di chi vive in profondità la “scollatura tra la rappresentazione” che ha di sé stesso e la realtà, dominata dall’incapacità di concretizzare ambizioni, sogni. Attraverso il rapido movimento tra piani temporali - a riprendere la tecnica cinematografica del flashback -, il testo risuona della verità di certi percorsi di (auto?)analisi, in cui è facile ritrovarsi, specchiarsi: un piccolo gioiello di scrittura che ha forse, come unico difetto, la brevità, e che lascia nel lettore la voglia di saperne di più: dei personaggi, di quel “mondo fatto di incontri, di film visti e sognati e della certezza che l’energia del pensiero avrebbe potuto plasmare un futuro nuovo” collassato davanti alle epocali scene delle violenze del G8 di Genova prima, e del crollo delle torri gemelle dopo; delle idee del “grande romanzo italiano” custodite nei meandri della mente di Ronnie, forse in quella terra di confine tra aspirazioni, ispirazione e contenuto emotivo dell’esperienza reale in cui il protagonista sembra cercare la propria strada, o una via di fuga.