
Rover è un cagnolino. E i cagnolini, si sa, hanno gusti semplici. Lui vuole soltanto stare al sole, in giardino, a giocare con la sua palla gialla. La morde, la lancia, la rincorre, si rotola nell’erba. Un giorno, mentre è impegnato nella sua attività preferita, scorge un vecchio uomo che cammina verso di lui, lungo il vialetto del giardino. Indossa un vecchio paltò sdrucito, ha una pipa tra i denti e un cappellaccio calato in testa, ornato con una strana penna blu, segno certo che si tratta di uno stregone. Ma un cagnolino queste cose non può capirle, e Rover ringhia allo straniero. L’uomo, per fare un dispetto al cucciolo, raccoglie la sua palla gialla e se la ficca in tasca, poi fa per andarsene. Rover impazzisce dalla rabbia e azzanna i calzoni del vecchio, “strappandogliene via un bel pezzo” e ferendolo leggermente. Lo stregone si infuria e, giratosi di scatto, esclama: “Idiota! Trasformati in giocattolo!”. Improvvisamente Rover si ritrova rimpicciolito e muto. È solo un pupazzetto, per lui i fili d’erba sono alberi e la gatta di casa, Tinker, potrebbe tranquillamente farne un sol boccone. Il cagnolino è terrorizzato, ma non può fare nulla se non perdere i sensi. Un capogiro, il buio, e quando si risveglia Rover si ritrova chiuso in una scatola con altri pupazzetti, senza poter muoversi se non (ma solo un pochino, eh) dopo la mezzanotte, quando i giocattoli prendono vita…
Nell’estate del 1925, John Ronald Reuel Tolkien, sua moglie Edith e i figli John (di quasi 8 anni), Michael (di quasi 5 anni) e Christopher (di pochi mesi) andarono in vacanza a Filey, una località marina dello Yorkshire. Michael portò con sé, come sempre fanno i bambini piccoli, il suo giocattolo preferito, un piccolo cagnolino di stagno dal quale non si separava mai. Durante una passeggiata sulla spiaggia con il padre e il fratello maggiore però purtroppo il bambino perse il cagnolino, che non venne ritrovato neanche dopo due giorni interi di ricerche a cui Tolkien volentieri si prestò per alleviare la disperazione di Michael. Nel 1926, in una pagina del suo diario, lo scrittore annotava di aver finalmente completato la favola Roverandom, ideata per consolare il figlio e rassicurarlo sul fato del cagnetto, e abbiamo varie prove che la fiaba – probabilmente via via arricchita e modificata – sia stata raccontata in famiglia anche nell’estate 1926 e nel 1927, anno in cui Tolkien ne trasse un manoscritto, che rimase nel cassetto fino al 1936, quando – dopo lo strepitoso successo de Lo Hobbit – su insistenza dell’editore George Allen & Unwin, che chiedeva a Tolkien nuovi racconti per bambini, fu proposto da Tolkien assieme a Mr. Bliss e a Il cacciatore di draghi. In un primo momento scartato, Roverandom è rimasto inedito fino al gennaio 1998, quando l’editore HarperCollins lo ha pubblicato con la curatela di Wayne G. Hammond e Christina Scull. Con qualche ulteriore anno di ritardo la favola arriva in Italia: è una piccola storia dai colori pastello e dal tono metà sognante metà scherzoso con protagonista un cagnolino finito invischiato in schermaglie tra stregoni che è costretto ad andare fin sulla Luna e in fondo al mare per ritrovare se stesso. Libriccino tenero, ma non memorabile.