
Fine delle vacanze estive. Ragazzi e ragazze tornano al college, accompagnati dai loro genitori su station wagon incredibilmente cariche di ogni genere di oggetti: da sacchi a pelo a biciclette, da zaini a gommoni già gonfiati, da radio a mazze da hockey. A osservarli da lontano, come ogni anno, c’è Jack, fondatore del Dipartimento di studi Hitleriani, nonché professore più autorevole sull’argomento. Jack ha avuto quattro mogli e innumerevoli figli. Adesso vive con la sua ultima moglie Babette, donna grassa e complessata, sempre pronta a provare nuovi rimedi per dimagrire e a ingerire nuovi farmaci. Insieme a loro, nella loro casetta nel tranquillo quartiere a due passi dal college, vivono i loro figli, più o meno acquisiti: Wilder, il più piccolo di tutti, ha una grande passione per gli oggetti e gli avvenimenti più insignificanti che ama osservare con grande concentrazione; Heinrich, figlio maschio adolescente, oltre a essere molto ferrato in Chimica, ama gli avvenimenti catastrofici, purché ci siano vittime a sufficienza; Steffie e Denise sono ragazzine facilmente suggestionabili e sempre pronte a bacchettare la madre appena mangia cibi poco sani o ingoia qualche psicofarmaco di troppo. Insieme a questa bizzarra famiglia convivono centinaia e centinaia di oggetti, prodotti di supermercato, elettrodomestici. Finché un evento tossico aereo non turba la quiete consumistica della famiglia di Jack per palesare la ronzante, incessante domestica presenza della morte...
Rumore bianco, uscito per la prima volta in America nel 1985, vincitore del National Book Award, è considerato uno degli esempi più importanti di romanzo postmoderno. La vicenda che DeLillo ci racconta in questo libro – una cronaca scientifica dei comportamenti e dei modi di pensare di una tipica famiglia americana che, a oltre 20 dalla pubblicazione, potremmo a ragione estendere alle famiglie occidentali in generale – si svolge nell’arco di un anno accademico. L’autore prende spunto dai piccoli vizi, dai tic e dalle insignificanti manie del suo tempo per ingrandire tutto a dismisura. O meglio, è DeLillo che si avvicina talmente tanto alle vite che formicolano dentro le mura domestiche, guardandole come al microscopio, tanto da farcele sembrare esagerate, grandi, formato famiglia. Il romanzo è un continuo accumularsi di oggetti, che l’autore chiama con i loro nomi propri. Gli ambienti che DeLillo preferisce sono infatti i supermercati e gli interni della casa di Jack, ricettacolo e contenitore di prodotti da comprare il giorno prima per buttare subito dopo. Il protagonista non è solo Jack, egocentrico professore universitario dentro il college e insicuro amante quando sta a casa: ogni componente della famiglia è un personaggio importante che, nello scontro e nel confronto con gli altri abitanti della casa, dà vita ad esilaranti botta e risposta e situazioni ai limiti dell’assurdo viste e descritte con gli occhi di Jack e da lui raccontate al presente e in prima persona. Una prosa fatta di lunghi periodi e descrizioni dettagliatissime, che si lascia andare a lunghe riflessioni e considerazioni filosofiche che magari prendono il via dalla lettura delle etichette dei prodotti comprati al supermarket. Forse è proprio per questo che prima di entrare e venire conquistati dalla scrittura di Don DeLillo sono necessarie 50 pagine di rodaggio. Su Wikipedia c’è scritto: “Il rumore bianco è un particolare tipo di rumore caratterizzato dall’assenza di periodicità e da ampiezza costante su tutto lo spettro di frequenze”. E la sensazione è proprio questa, di una presenza fissa e costante che avvolge la casa e i personaggi. È la morte, che finisce col diventare essa stessa un membro della famiglia, figlio acquisito dell’era moderna, personaggio invisibile con il quale convivere. Giorno dopo giorno.