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Salvarsi a vanvera

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Il signor Aràd, circa una volta l’anno, riceve un telegramma dal ministero, che contiene l’invito a presentarsi all’Ispettorato Riserve Annonarie. E ogni volta esegue gli stessi gesti con malanimo: il viaggio, il pernottamento e la lontananza dalla propria abitazione e dalle proprie figlie. Anche il 2 giugno1943 Aràd si reca all’Ispettorato. Gli rivolgono le domande di sempre, relative sia all’occupazione che alla sua sfera privata: frequentazioni, orari di apertura e chiusura, episodi particolari occorsi in qualche data particolare e altre cose simili. Aràd risponde e ogni sua asserzione viene verificata su carte e tabelle, tra pause piuttosto fredde e occhiate piene di diffidenza. Il giorno successivo, conclusa l’intervista, l’uomo è libero di tornarsene a casa. Ed è proprio sul treno, il 3 giugno 1943, che Aràd incontra Cali, seduto da solo con un bussolotto di vetro chiuso con un tappo a macchinetta, i piedi a penzoloni dal sedile, l’aria da passeggero onesto e lo sguardo perso oltre il finestrino. Tutti gli occupanti la carrozza lanciano occhiate intorno al bambino, come a cercare un padre e una madre poco lontani. Ma non c’è l’ombra né di uno e né dell’altra. Allora Aràd decide che porterà quel bambino a casa propria. Ed è proprio ciò che accade. Cali sa dire il suo nome e alzare quattro dita per indicare la sua età. Non è in grado di spiegare da dove venga, come sia finito su quel treno e cosa sia quel bussolotto che tiene stretto tra le mani. Non è neppure in grado di spiegare chi sia il cavalier Celerino Scovaloturco: il nome scritto in corsivo sulla tessera ferroviaria per pensionati che la moglie di Aràd trova nella tasca della giacchetta di Cali. La donna rifocilla il piccolo, lo spoglia, lo lava e gli fa indossare una vestaglietta gialla da femmina perché in casa non ci sono figli maschi. Dopo che Cali è stato messo a dormire in tinello sul divano – alla mamma piace molto chiamarlo canapè – il signor Aràd entra nella camera delle due figlie e spiega che non ci sono segreti da conservare, ma neppure troppo chiacchiericcio da spargere. Bisogna evitare il più possibile domande inutili e comportarsi come se Cali si trovasse in quella casa, con loro, da sempre. Solo in questo modo si può tenere a bada, fino a soffocare del tutto, la curiosità della gente…

Vincitore del premio Alassio Centolibri nel 2022, il romanzo di Paolo Colagrande – scrittore piacentino, premio Campiello opera prima nel 2007 – racconta con sensibilità, intelligenza e ironia la tragedia, rendendola in qualche modo buffa. Nella provincia padana, in piena Seconda guerra mondiale, la famiglia ebrea di Aràd, un commerciante che ha furbescamente provveduto da tempo a italianizzare il proprio nome e cognome, si arrabatta per sfuggire alla crudeltà gratuita del regime nazista. Il caso, per fortuna, gioca a favore dell’intraprendente commerciante, che vede nella scoperta di un giacimento di carbone vicino casa, scovato in realtà da Cali, il piccolo e misterioso bambino trovato per caso in treno e adottato dall’intera famiglia, l’occasione ghiotta per apparire utile – anzi, necessario – agli occhi dei tedeschi. Ecco allora che viene organizzato un vero e proprio team, una squadra di persone – tutti ebrei o quasi, perché i soli a non temere la Salamandra Gigante che abita la miniera e uccide chiunque le si pari davanti – addette all’estrazione del prezioso combustibile. Non poche sono le avventure che questo bislacco gruppo vive e altrettante le peripezie affrontate, non ultimo il tentativo di allontanare il sospetto che comincia a serpeggiare nel maggiore tedesco von Appensteiner, che sente una vaga puzza di bruciato, ma, per fortuna, non è in grado di definirne la provenienza o l’origine. Un romanzo capace di mostrare in chiave grottesca, e a tratti assurda, la sciagura che ha dolorosamente segnato un periodo della Storia, per sopravvivere alla quale ogni mezzo è lecito, anche quelli più inusuali e sconsiderati. Perché è la vita ad essere in gioco. E la vita va preservata e salvata, a qualunque costo, anche attraverso soluzioni estemporanee partorite un po’ a vanvera. Un testo che fa sorridere e riflettere; una vicenda che racconta l’arte di arrangiarsi e la liceità di certe esagerazioni, se a fin di bene, perché, come afferma l’autore stesso: “È obbligatorio esagerare, se no che cosa si racconta a fare?”.