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Sbirri e culicaldi

Sbirri e culicaldi

Dopo i fallimenti di polizia ed intelligence nel prevenire il fenomeno del terrorismo islamico “in casa” con i clamorosi attentati in Europa, le si stanno provando tutte alla Thames House, la sede dei Servizi Interni del Regno Unito, pur di accontentare i politici che fremono per comunicare sicurezza agli elettori. Persino richiamando alle operazioni speciali dell’Antiterrorismo una carogna come il detective Oliver Outeberry, del quale si conoscono i metodi sbrigativi che travalicano la legalità, al pari dei suoi discutibili informatori. Ad affiancarlo e completarlo, il laureato Middleton, modi da recluta, poche parole e dedizione al più anziano sbirro. Intercettazioni sui social ed incroci di dati che riconducono a tale King Khan fanno pensare ad un clamoroso botto in arrivo che magari tirerà giù qualche meraviglia architettonica di Londra. Scavare, spulciare, scoprire, sradicare e stroncare a tutti i costi: si chiama prevenzione. Analisi informatiche portano al quartiere londinese di Lewisham, dove potrebbe essere annidata una cellula terroristica: il quartiere è una fucina di pakistani di seconda generazione pronti a diventare “culicaldi”, così sono chiamati in gergo i sospettati di radicalizzazione. Sono le seconde e terze generazioni di immigrati che passano dalla delinquenza comune all’infatuazione islamico-terroristica. Dalla Trap ad Allah. Dalla shaboo alla pentrite. A conoscere bene il quartiere c’è il Capo Victor Gell della polizia londinese al quale chiedere collaborazione senza però offrirne: Outeberry è fatto così. Scandagliando la rete delle intercettazioni ci si imbatte nei fratelli Usman e Rashid Akram che Victor conosce bene. Ma non sarà possibile farci due chiacchiere: i due ragazzi sono spariti senza lasciare tracce… E se l’Antiterrorismo è avaro di informazioni poco importa, Victor indagherà per proprio conto, tanto non ha nulla da fare: è solo. Solo da quando sua moglie Catherine se n’è andata via di casa portando con sé la loro figlia Emma. Cathy ha avuto un crollo nervoso da quando alla bambina è stata diagnosticata una malattia rara e difficile…

Una storia abbastanza ben articolata con ambientazioni efficaci, giusta dose di detection e stile migliorabile. Occorrerebbe dare un po’ più di profondità a personaggi e pensieri annessi andando oltre le semplici azioni dei protagonisti. Una partita a scacchi giocata al di sopra della sufficienza con i pezzi un po’ troppo relegati alle mosse stabilite senza che ciascuno di loro assuma un’individualità più articolata. Nella forma si ravvisa un uso smisurato di “dannatamente”, “maledettamente”, “fottutamente bastardo” a corredo di rapporti aggressivi, prese per il bavero e pugni alle pareti: sembra il tentativo di tonificare le pagine con un’iniezione di testosterone che però finisce per chiamare alla mente quei litiganti che con un eccessivo agitarsi e sbraitare denotano la paura di non intimorire abbastanza. Meglio gambe salde e sguardo fermo, niente minacce e pronti allo scatto. Scatto che infatti non avviene e non si viene colti di sorpresa, anche se comunque la storia ci intrattiene ed anche benino, direi. A smorzare adrenalina ed entusiasmo ci pensano gli errori reiterati quali l’uso di “apposto” invece di “a posto”, l’indicazione di “pupille” in luogo di palpebre, l’uso di “reticente” al posto di recalcitrante, il cognome “Show” per l’attore Robert Shaw, il nome “Lawrance” per l’altro attore Laurence Fishburne, più qualche condizionale sacrificato sull’altare del tempo presente. Se poi in un poliziesco si vuole citare la famosa frase di Agatha Christie, sarebbe opportuno per rispetto di tutti – Maestra in primis –, controllare e verificare che secondo il suo famoso detto, gli indizi che farebbero una prova sono tre, non due. Se in aggiunta si vuole maneggiare una storia con armi ed esplosivi non si può ripetere più volte “Botano” (gas Butano per gli ordigni artigianali). Meno faciloneria, ragazzi: non a tutti è richiesto di aver fatto il Guastatore o il combattente, ma per temi specifici esistono le consulenze. Manchevolezze non proprio perdonabilissime per la cura che si dovrebbe ad un romanzo d’esordio. Per quanto riguarda le isole “Folkland” ed altri refusi preferisco pensare ad errori di stampa… Colgo poi l’occasione per una proposta Erga omnes: l’abolizione di segretarie dalle “gambe infinite” da apostrofare con l’appellativo “Dolcezza”; lo si continua ad usare dai tempi di Bogart – prima metà del secolo scorso – e nella vita reale non lo dice nessuno, basta così. Considerando comunque che Stefano Talone è al suo primo romanzo, c’è da dire che almeno non si è lanciato totalmente alla cieca – come spesso avviene con gialli, thriller e polizieschi – in ambienti totalmente alieni (quantomeno dimostra una buona conoscenza di Londra) e che la tematica è ben calata nell’attualità, pur senza avvincere totalmente, ci si trova per le mani un discreto libro di intrattenimento. Speriamo sia un debutto che faccia assistere i lettori ad un bel crescendo, con molta più attenzione alle note suonate. Viene da chiedersi, e qui il discorso è generale, che fine abbiano fatto gli editor.