Salta al contenuto principale

Scheletri

Scheletri

2001, Roma, quartiere Rebibbia. Il giovane Zerocalcare trova davanti alla porta di casa sua un dito mozzato e, terrorizzato e inorridito, lo prende come un avvertimento nei suoi confronti. Flashback. Sei mesi prima, con una cresta rossa simbolo della protesta e nel contempo del disagio giovanile, Calcare è iscritto alla facoltà di Lingue di Roma Tre, ma non frequenta. La sua coscienza, che gli appare sotto forma del celebre linguista Noam Chomsky, lo rimprovera ogni volta che non scende alla fermata della facoltà e tira dritto fino al capolinea per poi ritornare a casa dopo cinque ore di viaggio avendo fatto credere alla mamma di essere andato a lezione, sentendosi un po’ come l’impostore de L’avversario di Carrère. Perché se da una parte Zerocalcare si sente terribilmente in colpa a non frequentare i corsi della facoltà, dall’altra là si sente un pesce fuor d’acqua: non c’è nessuno della sua cerchia di amici e tutti gli altri sembrano nati per fare quello. Solo in seguito capirà che è una condizione della sua esistenza quella di sentirsi inadeguato, sempre indietro rispetto agli altri, che sembrano essere nati guidando Ferrari, mentre lui si ritrova su un canotto sgonfio su un prato e non sa come andare avanti. A rendere la situazione ancora più complicata, il fatto che Zerocalcare non si possa confidare con nessuno: Lena è una secchiona, di Sarah ne era innamorato alle medie, Cinghiale pensa solo al sesso, Secco è a fare un torneo di poker in Vietnam. L’unico che sa che non sta frequentando l’università è Arloc, un ragazzo di due anni più giovane che si diletta coi graffiti, incontrato per l’appunto in metropolitana…

A distinguere questo romanzo a fumetti dalle precedenti opere di Michele Rech è una certa efferatezza, sia nella trama che nel disegno, dove la violenza appare in alcuni tratti nuda e cruda. Ad accomunarla invece agli altri graphic novel, la presenza di tutte le sue idiosincrasie. Eppure, tramite l’incontro con Arloc il giovane Zerocalcare si rende conto che i mostri del suo amico sono ben più terribili e feroci dei sensi di colpa che gli falcidiano lo stomaco per non frequentare l’università. Nella tranquilla vita adolescenziale di Zerocalcare e dei suoi amici, la violenza irrompe inaspettata e scuote il loro mondo, ricordando (non solo a loro, ma anche al lettore) che non esistono quartieri perfetti, visti come montagne irraggiungibili e alienate dove certe cose non succedono mai. Difatti, nelle sale giochi “potevano convivere Truffaut, le tute acetate, Italo Svevo, l’eroina, street fighter e il bushido dei samurai”. Assuefatti da fatti di cronaca raccontati in maniera semplicistica, con un confine netto tra bene e male, tra i cattivi e i buoni? Michele Rech rifugge questa visione e ce ne offre, con questo romanzo, una decisamente più ampia, più complicata, ricca di sfumature e di continue commistioni, proprio come la vita. La trama incalzante e le onomatopee al momento giusto fanno crescere l’ansia verso il momento clou, spesso rappresentato in una splash page, che serve anche a fare da cesura alla narrazione, mentre l’efferatezza è amplificata dalle scene più nere e dal focus sui dettagli. Con uno sguardo mai banale e un finale inimmaginabile, Michele Rech affronta anche la questione semantica delle parole riferite agli omosessuali, la pressione sociale che gli impone di mostrarsi (pur non riuscendoci) come maschio alpha, nonché il rapporto uomo-donna, in cui ancora troppo spesso l’uomo italiano pensa che la sua compagna sia “roba sua”. A fare da corollario alle tematiche esistenziali più profonde, l’ironia popolare e allo stesso tempo raffinata di Michele Rech e i dialoghi vividi, nonché un disegno curato fin nei minimi dettagli, dove l’autore dissemina piccoli pezzi di sé e della sua generazione che ci fanno penetrare ancora più profondamente in questo mondo, presi all’improvviso da una malinconica nostalgia del nostro passato, fatto di merendine confezionate, sale giochi, serie TV e cartoni animati. Negli anni dell’adolescenza e della post adolescenza i ragazzi della generazione ’80 hanno sempre immaginato il corso della propria esistenza dopo i 30anni come una vita finalmente risolta. E invece qui il lettore, insieme al trentasettenne Zerocalcare, si ritrova allo stesso punto di partenza, con le stesse paranoie e gli stessi interrogativi. Com’è tipico di tutti gli esseri umani, Zerocalcare si confronta con i suoi amici che hanno messo su famiglia ed è convinto che tutti stiano andando avanti tranne lui. Eppure i suoi amici lo ritengono molto più risolto di loro stessi, in quanto è l’unico che si è realizzato professionalmente, mostrandoci come la percezione della vita cambi continuamente a seconda della prospettiva da cui la si guardi. D’altronde, è più facile seppellire i mostri e le angosce nei retaggi più nascosti dell’anima, chiudere tutti gli scheletri dentro l’armadio, piuttosto che affrontarli.