
Guinea, 23 marzo 1988. In una capanna di Bokè nasce Alpha, in una famiglia composta da un padre, di etnia malinke e confessione musulmana, tre mogli e diciassette figli. La madre lo chiama Daudet, in onore dello scrittore ottocentesco. Studia alla scuola di Kamsar, poi alla Ousmane-Sembène e alla primaria della sua città. Le prime scoperte letterarie le fa durante l’infanzia, con I soli delle indipendenze di Ahmadou Kourouma e lo scrittore Tierno Monénembo. Durante l’adolescenza si innamora di Hassiatou, una ragazza di etnia fulani, prende parte al movimento di protesta contro il governo di Lansana Conté e si avvicina alla filosofia, grazie alle lezioni del professor Soumaoro. Prima dell’esame di maturità, nasce Binta, sua figlia. Alpha ha solo ventuno anni. Trascorsi tre anni dal suo trasferimento a Kankan, nell’Alta Guinea, per frequentare l’università, inizia a guadagnare facendo il giornalista in una radio privata, diventando, senza rendersene conto, un contestatore del regime. Costretto a fuggire, si affida a dei passeur per giungere in Algeria e di lì in Libia. A Ghadamès viene sequestrato, rinchiuso in una stanza nera, dal puzzo fetido e l’aria irrespirabile, e venduto come schiavo per trecentocinquanta dinari ad altri arabi. Poi Mohammed, l’ultimo dei padroni, gli regala la libertà affidandolo agli scafisti per la traversata del Mediterraneo. Nel naufragio viene soccorso da Aquarius, la nave umanitaria della Ong SOS Méditerranéé, sbarcando a Messina...
In Schiavi delle milizie non c’è finzione, ma solo realtà, cruda realtà. E Alpha Kaba, rifugiato politico in Francia, attualmente dimorante a Bordeaux, vittima del traffico di esseri umani, ha sentito il bisogno di scrivere un libro quale atto di testimonianza e denuncia, narrando l’inferno che ha vissuto in Libia dal momento in cui è fuggito dal proprio paese, la Guinea, perseguitato per motivi politici. Sono pagine intense in cui si legge del sistema criminale mafioso costruito all’interno del centro di detenzione per migranti, ufficialmente riconosciuto dal Ministero dell’Interno libico, presso Zawiya, città della Tripolitania. Il sistema è organizzato nei minimi dettagli e strutturato in modo gerarchizzato, con padroni, miliziani, guardie e schiavi, che possono essere comprati o presi in prestito. È un commercio di uomini e donne in pieno XXI secolo, tale e quale alla tratta degli schiavi africani consumata per secoli da Francia, Belgio e Inghilterra, basato su torture e gesti di brutale violenza, fisica e sessuale nei confronti delle donne, alimentato da un forte razzismo a danno dei neri. Quei gesti di attenzione nei confronti dei bianchi, che lo scrittore vive fin da bambino, e che interpreta non come un retaggio dello scempio coloniale, ma come frutto di semplice gentilezza, assumono ben altra connotazione alla luce della tragica esperienza vissuta. È questo il cuore pulsante del libro, nel quale si apprende altresì della limitata libertà di espressione giornalistica in Guinea, di una complicata ed esplosiva questione religiosa ed etnica (pensiamo all’odio endemico tra le etnie malinke e fulani), della piaga della corruzione, del fatto che la radio è un mezzo più popolare rispetto alla televisione, che i giornali sono scarsamente letti a causa di un alto tasso di analfabetizzazione e della varietà di lingue parlate. Viene naturale chiedersi se sia possibile continuare a sperare e rimanere umani in questo buco nero di malvagità. E Kaba così si esprime in un’interessante intervista, pubblicata dalla rivista “Left”: “Ho trasformato l’umiliazione dell’uomo nero in un’arma per superare tutte le difficoltà, per essere, ogni giorno che trascorre, sempre più forte”. In poco più di cento pagine, potenti e dirette, Kaba stimola la riflessione e spinge a porsi domande su un tema attuale e di grande impatto emotivo, anche alla luce della recente pronuncia del giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Messina nel maggio del 2020, con cui sono stati condannati a venti anni di reclusione tre carcerieri di Zawiya, a seguito delle torture e dei sequestri consumati in danno dei migranti rinchiusi nel centro (vicenda giudiziaria riportata nella prefazione ad opera di Nello Scavo).