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Schiavi dell’inferno

Schiavi dell’inferno

Frank Cotton sa bene che la fonte del piacere più grande che l’uomo possa provare risiede dietro la soluzione del rompicapo contenuto nella scatola di Lemarchand. Lui ha consacrato la sua vita all’infrazione dei tabù e al piacere più sfrenato, soprattutto quello prosaico e selvaggio della carne. Non sa se ciò fa di lui un vizioso ma poco gli importa visto che nei suoi panni da maledetto ha dimostrato di saperci stare alla grande. Il congegno però è più difficile del previsto e il tizio che l’ha creato doveva sicuramente avere un’immaginazione altrettanto perversa, sebbene declinata verso la geometria, la logica e l’enigmistica. Frank però non si dà per vinto e la pazienza, non certo la sua virtù più grande, stavolta gli viene in aiuto e il primo scatto dà il via al secondo, fino a giungere alla tanto agognata soluzione. La stanza è pronta per il rituale, con le assi del pavimento tirate a lucido e cosparse di petali, un altare improvvisato carico di offerte propiziatorie tipo ossa e aghi, nonché una caraffa di urina qualora fossero necessari gesti di auto-umiliazione. Tutto è in linea con gli eventi straordinari magnificati da Kircher, il tipo che gliel’ha venduta in un posto troppo lontano da lì; mancano solamente i maestri di cerimonie, i Cenobiti, demoni per alcuni, angeli per altri. Dal buio alla luce il passo è breve e improvvisamente eccoli dinanzi a lui, avvolti da una tetra fosforescenza che fa risaltare i loro corpi artisticamente sfigurati, quattro esseri inclassificabili che allo stesso tempo incutono rispetto e orrore. Frank capisce di aver varcato il limite ultimo e ciò che sperimenterà non sarà paragonabile a niente di tutto quel che gli è capitato nel sua pur variopinta esistenza…

Prima di addentrarmi nella recensione sento di dover fare un plauso alla casa editrice Independent Legions che finalmente sta pubblicando e ripubblicando alcune opere di Clive Barker, sottovalutato autore che da noi non ha avuto particolare fortuna editoriale, ad eccezione della serie per ragazzi Abarat e di un breve periodo di hype consumatosi a cavallo tra gli anni ’80 e gli anni ’90 quando opere come i Libri di sangue e Cabal lo avevano posto agli onori delle cronache specializzate quale futuro maestro dell’horror. Il buon Clive è artista a 360 gradi, e le parte letteraria, seppur la più vasta, non è la sola componente di una produzione che lo ha visto cimentarsi anche nella pittura e nella regia, con risultati altrettanto soddisfacenti. E questo Schiavi dell’inferno rappresenta in pieno il connubio tra dimensione letteraria e dimensione visuale, tant’è che lo stesso Barker ne dirigerà la trasposizione cinematografica, il fortunatissimo Hellraiser (1987), film che darà il via a una saga horror arrivata oggi al decimo capitolo e che lancerà nell’olimpo dei boogeymen il suppliziante Pinhead, demone di una dimensione dove il dolore e il piacere si confondono e si rincorrono, all’insegna di un’ estasi sadomasochistica barocca e perversa. Il romanzo, oltre a saldare alla perfezione l’anima narrativa e quella visiva dell’autore, traccia anche la mediana fra la dimensione del racconto – in cui Barker ha espresso la parte migliore di sé – e quella del romanzo – dove tante sue ottime idee sono risultate appesantite da impianti narrativi iper-voluminosi e iper-descrittivi – in una media lunghezza che affascina e lascia soddisfatto anche il lettore più esigente. Sul piano della trama ci troviamo di fronte a una storia d’amore decisamente non convenzionale tra Julia, una femme fatale infelicemente sposata e il fratello di suo marito, il perverso Frank, fuggito letteralmente a brandelli dalla dimensione in cui era stato fatto prigioniero dai Supplizianti, evocati dalla risoluzione del rompicapo della scatola di Lemarchand. Per tornare insieme si esigeranno molteplici sacrifici di sangue che la sottomessa Julia non esiterà a compiere per amore di Frank, mentre gli altri personaggi della vicenda, l’intraprendente figlia Kristy e l’inetto marito Rory sprofonderanno passo dopo passo in una storia dai contorni foschi e incredibili. Una bellissima riscoperta per un Clive Barker d’annata, che a distanza di anni mantiene intatte le proprietà che lo hanno reso famoso – descrizioni sopraffine, potenza immaginifica, un’originale rilettura del binomio amore-morte – proprio come un buon vino. Ovviamente rosso sangue.