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Scimmie

Scimmie

È mattina, si sono appena svegliati. Forse è per questo che sono un po’ di cattivo umore e sono vestiti alla bell’e meglio. La madre, accovacciata sui talloni, cerca di sistemare i suoi bambini prima di uscire per andare a messa: chiude i bottoni automatici della minuscola tuta da neve di Chicky, tira su la cerniera del cappotto di Sherman. Delilah scende velocemente giù per le scale, è in ritardo e ha l’aspetto trasandato, con la gonna bassa sui fianchi e i capelli scompigliati. Il padre è fuori in veranda. Non andrà in chiesa con loro. Lui non è cattolico. Non appena se ne saranno andati, inizierà a dedicarsi a lavori di casa come togliere le spine dalle piante, rastrellare le foglie morte. Se ne sta lì, piantonato in veranda con le mani ficcate nelle tasche della giacca a vento nera e i piedi uniti. Il suo respiro diventa aria condensata che sale dalla bocca in candide spire. Il padre non patisce il freddo. È la mamma “l’animale a sangue caldo”. Quando vanno a sciare, è lei che, accorgendosi che ai suoi figli si stanno congelando le dita dei piedi, li porta al calduccio, fa bere loro una tazza di cioccolata calda e gli friziona i piedi affinché si riattivi la circolazione. “Okay, scimmie”. La mamma spinge la schiera di pargoli fuori casa per andare in chiesa che raggiungeranno a bordo della grande station wagon. In chiesa, prendono posto nel banco vicino all’altare, come al solito. È un continuo “inginocchiarsi e alzarsi”. Quando passa l’uomo delle offerte, la mamma fa cadere nel cestello una banconota da cinque dollari e ne tira su due da un dollaro. Come resto. Nel viaggio di ritorno, si fermano per comprare una confezione da otto di lecca-lecca, uno a testa per i figli e due per mamma e papà, anche se papà non lo finisce mai. Il papà ha gusti strani, a tavola mangia sempre con i piedi a lato della sedia, pronto ad alzarsi. Ogni tanto vanno a pattinare, il papà e la mamma sono bravissimi. Da giovani, papà giocava a hockey e la mamma praticava pattinaggio artistico. Sfrecciano rapidissimi sul lago ghiacciato. La mamma si allena nel triplo salchow e piroetta estatica davanti ai figli che la incitano. Quando finisce, socchiude gli occhi e scorge in lontananza il papà che è già in macchina. Si sta slacciando i pattini sul cofano. L’espressione sul viso della mamma fa capire a tutti che è ora di andarsene…

Leggendo Scimmie di Susan Minot sembra quasi di scorgere in filigrana la celebre frase di Virginia Woolf sulla centralità della figura materna nella sua vita: “Eccola, mia madre, al centro della vasta cattedrale che era l’infanzia”. Il breve libro della scrittrice e sceneggiatrice americana (Minot ha scritto la sceneggiatura di Io ballo da sola di Bertolucci e ha collaborato con Michael Cunningham nella stesura della sceneggiatura di Evening, tratto dal suo omonimo romanzo) ha infatti in comune con Al faro, sperimentale testo elegiaco woolfiano, la rievocazione della madre, figura che giganteggia per guizzi di vitalità, forza d’animo, amore e abilità nel destreggiarsi tra attenzioni da destinare ai figli e il temperamento irrequieto di un marito dal carattere non proprio facile da gestire. Se in Al faro, Woolf rievoca le estati trascorse dalla famiglia nella località di Talland House a St. Ives, in Cornovaglia, Minot ricostruisce in una narrazione parzialmente autobiografica dodici anni di vita della famiglia Vincent, focalizzandosi sui giorni e le estati trascorsi in un cottage all’isola di Bermuda. Dallo stile scarno, spoglio e dal ritmo concitato, come si può evincere dai capitoli intitolati, il breve romanzo di Susan Minot è la raccolta di nove racconti autonomi pubblicati in tempi diversi e poi riuniti in Scimmie nel 1986. Il fulcro della narrazione è costituito dalle dinamiche familiari che intercorrono tra i membri di questa numerosa famiglia, dinamiche fatte spesso di tensioni sottaciute, piccoli segreti, esplosioni d’affetto, tormenti interiori, traumi ma anche di complicità e resilienza. Si susseguono parenti e amici, membri della famiglia se ne vanno e altri arrivano, ma in quest’opera è la madre, per riprendere Woolf, “il centro di tutto”.