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Se solo il mio cuore fosse pietra

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A guerra finita, nel villaggio inglese di Lingfield. Alice Goldberger attende dodici bambini che provengono da Windermere, il centro di prima accoglienza e raccordo che aveva ospitato, per qualche mese, i minori sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti. Li attende in una struttura creata e predisposta a questo scopo, perché i minori sopravvissuti sono ragazzi fragili, impauriti, diffidenti, che hanno guardato dritto il Male negli occhi e, pertanto, non possono essere subito affidati a famiglie pronte e desiderose di accoglierli, non sono al momento “adottabili”. I centri come quelli di Lingfield, quindi, saranno per tutti loro una tappa intermedia e obbligata per riprendere contatto con la vita “normale” e con persone, come Alice, preparate ad accogliergli e prendersi cura di loro. Almeno sulla carta. La realtà purtroppo è un’altra cosa. Quei bambini hanno visto e sopportato vessazioni, orrori, fame, freddo, percosse, umiliazioni e solitudine. Strappati dai genitori, costretti a crescere troppo in fretta e circondati da troppa violenza si sono aggrappati gli uni agli altri chiudendosi nel loro mondo emotivo per sopravvivere alla loro atavica paura. Una paura folle. Un terrore che gli si è infilato sotto la pelle e che gli riempie gli occhi di fantasmi e di demoni. E così, quando i dodici bambini arrivano a Lingfield proprio a ridosso della ricorrenza di Hanukkah, la festa ebraica “delle luci”, e Alice decide di accendere candele ovunque, gli abitanti del villaggio arrivano con fiaccole per illuminare il tragitto che deve portarli dai mezzi della Croce Rossa sui quali sono arrivati fino alla struttura. Qualcuno porta anche delle mele per offrirne loro come segno di benvenuto, ma tutti e dodici i bambini restano terrorizzati e pietrificati perché i loro occhi vedono altro, i loro pensieri vanno a luci e fuochi differenti, le mele racchiuse in panni sono scambiate per strumenti di tortura e alcuni di loro, entrati troppo piccoli nei lager, non si ricordano affatto di averla mai festeggiata Hanukkah. E allora Alice comprende che quei piccoli occhi hanno visto cose che nessun essere umano dovrebbe mai vedere, che quei piccoli corpi hanno subito cose che nessun bambino mai dovrebbe subire. E lei? Lei sarà in grado di gestire tutto questo, di ascoltare le loro storie, di aiutarli a comprendere che l’orrore è finito e che la vita che li attende sarà complicata ma giusta? Potrà Lingfield restituire a quegli occhi pieni di orrore anche solo un filo di luminosa speranza?

Titti Marrone dà vita a un lavoro letterario potente dove il lettore si ritrova a leggere pagine di assoluto incanto narrativo condite con fatti e cronache del tempo. Un lavoro che non può essere definito solo un romanzo perché l’autrice ha impiegato anni a studiare i fatti e le vicende di luoghi come Lingfield, a ritrovare e leggere lettere perdute, spulciare archivi e riannodare fila che avrebbero portato, a loro volta, a infinite storie e a infiniti protagonisti. Ai lettori tutto questo arriva in maniera lucida e fortissima, avvertendo un doppio piano di lettura di Se solo il mio cuore fosse pietra: in alcune pagine ci si commuove fino alle lacrime e a tratti ci si sente anche in colpa per quell’orrore che non si è riusciti a fermare anche se si è nati cinquanta anni dopo, in altre si apprende la Storia, quella con la maiuscola che racconta del campo di Terezin, non molto lontano da Praga, il campo modello dove i più facoltosi ebrei avevano sborsato cifre enormi per essere tradotti con la speranza di restare chiusi in un posto sicuro, pulito, accogliente. Le menzogne naziste. La follia di Hitler che amava giocare con le vite degli altri e al danno aggiungere anche la beffa. Terezin era un lager a tutti gli effetti, un avamposto per le camere a gas e per la morte dove pittori, artisti, musicisti e intellettuali ebrei mitteleuropei del tempo finivano i propri giorni, altro che esemplare insediamento ebraico come la propaganda nazista millantava! Tutto questo racconta il romanzo di Titti Marrone che fa piangere e fa arrabbiare, ma fa anche riflettere sulla forza della Vita, su quella speranza che ogni essere umano ha e coltiva in sé al pari dell’istinto di sopravvivenza. Quello che succede ai bambini ebrei sopravvissuti ai lager nella residenza di Lingfield ha qualcosa di magico e fiabesco perché il loro graduale ritorno alla vita è un miracolo, una vittoria del Bene sul Male, un percorso di rinascita e volontà interiore che lascia, a fine lettura, il sapore dello zucchero a velo, qualcosa di impalpabile eppure gradito. Titti Marrone scrive tutto questo senza fronzoli, senza dilungarsi in descrizioni estreme, senza retorica, in uno stile garbato e asciutto da grande cronista, lo stile giusto per raccontare una storia come questa. Leggere per non dimenticare, questo il senso ultimo di Se solo il mio cuore fosse pietra, per non dimenticare la Storia, ma soprattutto per non dimenticare gli esseri umani che quella storia, loro malgrado, l’hanno fatta.