
Prima francesi. Poi no, non più. La politica coloniale li ha trasformati in merce per un commercio tutto nuovo di schiavi dirottati tra Parigi e Marsiglia, alla catena. In fabbrica. Con le promesse più meschine di un buon lavoro, una buona paga, una buona casa e la prospettiva di portarsi, dopo qualche tempo, la famiglia in Francia o, male che fosse andata, tornarsene al loro paese con un bel gruzzolo. È stato così che orde di maghrebini si sono trasferiti (sono stati trasferiti), cullati da pie illusioni, dalla necessità di una prospettiva migliore smembrandosi dal loro paese e finendo a vivere in fatiscenti baraccopoli o in cameroni comuni attaccati al posto di lavoro, incastrati in un sistema sociale che non li vedeva, soggetti ad una quotidiana discriminazione, ad un violento razzismo, ad un’emarginazione che ha creato un solco spesso irriducibile. Chi è andato via ha mantenuto una fortissima identità di partenza; chi ha tentato di “assimilarsi” lo ha fatto ad un prezzo molto alto, quasi mai riuscendoci. in questa lotta tra la propria identità e la voglia di “francesizzarsi” si dipana la storia di uomini e donne che alla Francia hanno dato tanto ricevendone quasi niente…