
Un padre alle prese con la meraviglia che è un bambino di due anni che scopre il mondo, che “saggia” l’oggetto libro e incontra la meraviglia delle piccole e grandi storie del mondo raccontato, sia esso quello attraversato da una coccinella del suo libro illustrato preferito o quello popolato dai personaggi preferiti da suo padre. Se il padre è un intellettuale che ha fatto dell’amore per i libri un lavoro e il cui lavoro, nella fattispecie, consiste nel “distruggere” quelli brutti dalle colonne di un giornale, non potrà resistere alla tentazione di raccontare al suo Francesco i cinque libri che hanno maggiormente segnato la sua vita e che bastano, secondo lui ad accompagnare il piccolo attraverso altrettanti stadi della sua vita. L’isola del tesoro è il libro che lo aiuterà ad affrontare la paura e lo aiuterà a crescere, il libro che gli insegnerà che ci sono “modi lineari o non lineari di superare gli ostacoli”. Quello che al padre interessa è insegnare al figlio la lettura critica, uno sguardo che colga i personaggi in filigrana che non si soffermi su Pew e Cane Nero, ma indaghi e scandagli gli animi di tutti i personaggi, che si lasci invischiare dalle storie di tutti, che riconosca il valore formativo del viaggio di Jim, che colga il fatto che per Jim l’avventura è un modo di crescere capendo cosa sia la doppiezza, crescere sconfiggendo la paura, perché, “La grande letteratura di formazione insegna che i mondi adulti sono crudeli e monotoni e che i grandi eroi, per rimanere grandi devono imparare a scendere a patti con le traversie della quotidianità.” Se L’isola del tesoro insegna che l’avvenire è un rito di passaggio, in Catcher in the rye, che in Italia abbiamo tradotto Il giovane Holden per mancanza di idee migliori, insegna il valore della trasgressione, è la ribellione contro la mediocrità imperante, contro il conformismo e la retorica degli adulti. Holden Caulfield è l’adolescenza alla disperata ricerca di tenerezza, ci dice Cotroneo, un giovane ironico sperduto nei campi di segale in cui però non esistono gli “acchiappatori” della filastrocca infantile a cui fa riferimento il titolo. Holden è stato per il giovane Cotroneo la scoperta del sarcasmo, dell’ironia dissacrante, lo ha conquistato con la sua capacità di farsi sfuggente proprio quando credeva di averlo afferrato e gli ha insegnato a diffidare di chi dichiara di conoscere una o molte verità “tutti hanno un’opinione su ogni cosa ma non sanno nulla delle anatre”. Holden si prende il diritto di dissacrare ciò che non ama e per citare la sua adorata sorellina Phoebe “non ama niente di ciò che succede”, ma ciò che più colpisce Cotroneo e che ha affascinato intere generazioni di lettori, è la capacità di Salinger di dissacrare i miti generazionali come Robert Burns, dal cui verso storpiato prende il titolo il libro. Per parlare del quarto pilastro nella vita di un essere umano, l’amore, Roberto Cotroneo sceglie Il canto d’amore di John Alfred Prufrock di Thomas Stearns Eliot. Prufrock è uno di quei personaggi che si capiscono meglio da soli, senza l’intermediazione di critici e, il consiglio di Roberto a suo figlio è proprio quello di non ascoltare chi pretenda di spiegargli il mondo, i critici letterari che scrivono solo per apparire più intelligenti di altri, critici letterari inclusi. Per capire davvero l’universalità della condizione umana bastano poche righe scritte nel 1917 che recitano “Mormoranti ricoveri/ Di notti senza riposo in alberghi di passo a poco prezzo/ E ristoranti pieni di segatura e gusci d’ostriche”. Prufrock è un uomo che non riesce a dichiarare il proprio amore, ma, ci pensa ogni giorno e il pensarci è ciò che scandisce le sue giornate, mentre il tempo scorre inesorabile , “assume la misura della zona calva in mezzo ai suoi capelli”. Quello che Prufrock insegna è la dignità della sconfitta; sa benissimo di non essere mai stato destinato ad essere Amleto, ma solo una figura destinata a ingrossare un corteo, a dare l’avvio a una scena e uno come Roberto, che viene da Alessandria, dove le persone misurano la vita “con un cucchiaino da caffè, non può non apprezzarlo. L’ultima opera che racconta a suo figlio è Il soccombente di Thomas Bernhard. Roberto Cotroneo non poteva in alcun modo lasciar fuori una sua passione assoluta come quella per la musica e sceglie di partire dal ricordo di un vecchio accordatore di pianoforti nello studio medico di suo padre e dall’odore del legno. La sua scelta di un romanzo tetro, perfino morboso, serve a raccontare per contrasto le note “cristalline di Glen Gould”. Il soccombente narra di tre pianisti che si incontrano a Salisburgo, stanno per diventare affermati ma l’incontro col puro genio di Gould porterà conseguenze impensabili nelle vite degli altri due. Se con Prufrock la domanda era se valesse la pena osare, con Gould la domanda diventa “quanto” si possa farlo. Il rapporto tra genio e talento interessa particolarmente a Cotroneo e ci si sofferma in maniera approfondita ma garbata, consapevole della delicatezza e del tormento che coglie l’animo di chi sfiora la genialità senza raggiungerla…
Se una mattina d’estate un bambino è un canto d’amore. Roberto Cotroneo lo scrive innanzitutto a suo figlio, poi a se stesso bambino e ai propri miti letterari. Poco importa se condividiamo le sue scelte, la cosa importante è che ci regala ancora una volta un testo ragionato, una visione critica della letteratura che ci spinge a travalicare gli stereotipi, a osare letture “personali” e interpretazioni individuali dei testi con cui ci confrontiamo. Poco importa se Prufrock, stando ad alcune registrazioni radiofoniche rinvenute negli ultimi giorni, sembra non stesse particolarmente simpatico nemmeno al suo autore, e poco o nulla importa anche il fatto che Cotroneo abbia compiuto in questo libro un’operazione di quelle da adulti che avrebbero scatenato l’ironia di Holden Caulfield. A noi adulti marchiati a fuoco dalla letteratura sin dalla più tenera età, questa operazione sdolcinata e sentimentale, di un autore che come tutti “non sa dove vadano le anitre di Central Park in inverno”, ma inventa mondi e storie per una coccinella, piace moltissimo. E ancora di più ci piace il messaggio che nessun libro è un’isola, ma tutti insieme costituiscono una gigantesca rete neurale, un unico, ininterrotto tessuto di comunicazione che va da Dante a Borges, e, aggiungo io, arriva fino agli eroi del self publishing, perché alla fine “le storie non sono molto diverse l’una dall’altra, ma, solo un poco diverse”. La letteratura non conosce snobismi, perché tutte, ma proprio tutte le parole scritte dall’uomo contribuiscono all’ordito e non bisogna lasciarsi influenzare dalle scelte di altri ma leggere ciò che ci piace, creare il nostro personalissimo tappeto magico e inforcarlo per volare dove ci aggrada.