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Sedici parole

Sedici parole

Mona è “la musulmana in Germania”, i tratti del suo viso denotano la sua origine iraniana, i suoi capelli sono come una coltre di cemento, una forza oscura che le tira indietro il capo. A scuola non importa quanto cerchi di essere invisibile, è la mela marcia, la diversa, la bambina con cui le madri non vogliono che le proprie figlie giochino. È “la tedesca in Iran”, la giornalista, la ghostwriter, la figlia di divorziati, la donna che a trent’anni ancora non ha trovato un marito e ha una relazione con un uomo sposato. Nella sua terra natia è impossibile spiegare le serate in discoteca o perché per lei sia innaturale fare mostra del proprio dolore dinanzi al lutto. Mona ha due identità e due estraneità e quando la sua amata ed eccentrica nonna, Maman bozorg, muore, è costretta ad affrontare un viaggio fisico e al tempo stesso interiore attraverso i silenzi e gli enigmi dell’Iran, le rovine di Bam e i segreti della sua famiglia. A guidarla sono le parole della sua infanzia, il simbolo della sua doppia nazionalità e della sua lotta con sé stessa: “All’inizio fu una sola. Una parola che, agile e svelta, mi assalì, come poi tutte le altre sedici, dopo un’imboscata. Non riuscivo a difendermi, le parole tornavano sempre di nuovo a impormi il loro messaggio: qui c’è ancora un’altra lingua, la tua lingua madre, non credere che quella che parli sia davvero la tua. Finivo regolarmente nelle loro mani, ostaggio di queste parole che non avevano niente a che fare con la mia vita, con il modo in cui ogni giorno apro il lucchetto della bici, ordino da mangiare al ristorante oppure, in primavera, ripongo il vestiario invernale”...

Nava Ebrahimi ha molte cose in comune con la sua protagonista: è nata in Iran ma vive e ha studiato a Colonia, in Germania, è una giornalista e ha lavorato come consulente per il Medio Oriente. Sedici parole è il suo esordio letterario e ha vinto il Premio del libro austriaco come miglior debutto dell’anno. A riprova della doppia identità nazionale, culturale e linguistica di Nava e Mona, il romanzo, originariamente scritto in tedesco, è strutturato in sedici capitoli, uno per ogni parola persiana. Alcuni termini sono tradotti, altri intraducibili e solo leggendo se ne intuisce il senso; ciascuno di essi segna la tappa di un viaggio che si svolge in Iran, tra gli odori, i colori, i sapori, i rumori e i silenzi, le ingiustizie e le contraddizioni di quella terra, e al tempo stesso tra le pieghe di un Io contrastato, in lutto; un percorso che non segue un tempo lineare, quanto piuttosto le fluttuazioni di un tempo interiore. Seguiamo Mona tra le rovine della città terremotata di Bam e della sua vita, di quella di sua madre, sposa bambina, e di sua nonna. Queste tre donne forti e sfaccettate vengono colte e fotografate dall’autrice attraverso i ricordi della protagonista, i cui pensieri si muovono tra passato e presente restituendoci la sua angoscia esistenziale e la sua voglia di vivere, affermarsi ed essere sé stessa. È un vero peccato che, dopo un inizio abbastanza solido e intrigante, la storia si perda: il ritmo rallenta per arrivare a un finale già annunciato. Tuttavia, Sedici parole non va letto per la sua trama ma per la sua atmosfera: “Forse la vita è un bambino che torna a scuola”.