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Sentinelle della speranza

Sentinelle della speranza

Quello delle “sentinelle della speranza” è un gruppo di volontariato di ispirazione cattolica che opera con i detenuti, partendo dalla lettura della Bibbia per arrivare al recupero dell’autostima di ciascuno fino a contribuire alla costruzione, in ciascuno di loro, di una speranza concreta individuale e sociale. Il carcere nel quale l’associazione opera è quello di Poggioreale, a Napoli. Il libro comprende sette capitoli, il primo costituisce un’introduzione generale in cui vengono trattati i temi dell’ascolto, la sacra scrittura, la costruzione della speranza cristiana. Seguono poi le interviste agli operatori che si occupano dei carcerati, condividendo con loro tempi, dialogo e pensiero. Nella prima, don Franco Esposito, cappellano del carcere e parroco a Ponticelli, tratta della necessità di far riscoprire ai detenuti la propria umanità. Attraverso dialogo, ascolto, attività manuali e laboratori il cappellano sprona i denenuti a elaborare pensieri e a trovare strumenti per rimettere in piedi la propria vita. Segue un’intervista a suor Maria Lidia Schettino, assistente volontaria nei carceri di Pozzuoli, Secondigliano e Poggioreale, operatrice di comunità terapeutiche e attiva nei reparti AIDS dell’ospedale Cotugno di Napoli. La parola passa quindi ad Antonio Spagnoli, insegnante di religione e giornalista che auspica, tra le altre cose, la realizzazione di percorsi educativi sul tema della giustizia in tutte le scuole e università. Segue don Raffaele Grimaldi che riferisce la propria esperienza nel carcere di Secondigliano, dove ha vissuto per ben ventitré anni. Nel capitolo seguente interviene Giuseppe Ferrario, docente di filosofia e promotore di un’esperienza di didattica dei sentimenti tenuta con i ragazzi del carcere minorile di Nisida. Conclude Antonio Sgambati, comandante di polizia penitenziaria…

Il libro, agile e di facile lettura, si propone di rispondere essenzialmente a due domande: ‘‘È possibile farsi compagni di viaggio dei detenuti?’’ e ‘‘Come si fa a stare accanto a chi è rinchiuso in un carcere senza rinfacciargli il male commesso e respingendo la tentazione di giudicarlo?’’. Ciascuno dei protagonisti vive o ha vissuto l’esperienza di condividere il dolore, la solitudine, il rimorso, talvolta il pentimento, delle persone condannate a vivere dietro le sbarre. Ciascuno dei protagonisti delle interviste ha lavorato per costruire ponti tra l’interno e l’esterno delle strutture carcerarie, raccogliendo le storie personali dei detenuti e testimoniando capacità di ascolto, condivisione del tempo e, spesso, anche del silenzio. Restare in silenzio accanto a un’altra persona non solo ispira rispetto e fiducia, ma costituisce anche un momento necessario e importante di condivisione nel profondo. Spesso infatti i detenuti non chiedono aiuto, forse non lo vogliono, chiusi come sono nel loro vissuto tragico e oscuro. Può succedere allora che innalzino un muro tra se stessi e l’altro ‘‘che viene da fuori’’. Se si riesce ad aprire una breccia in questo muro, sostiene Anna Maria Caiazzo, la curatrice del libro, si può afferrare un messaggio fondamentale che chi è carcerato può ancora comunicare, nonostante le proprie difficoltà ed errori, e cioè la scoperta della ‘‘bellezza della vita’’.