
Alla prima boa c’è una trentunenne del Sud, Bianca: senza cognome ma con una “cicatrice lunga dalla base del collo a salire, su fino alla guancia”. Nel post pandemia, coglie l’occasione della vita e parte per Milano, dove sarà assunta e dove la raggiunge anche il fidanzato. Mille difficoltà, contratti ambigui, turni inumani; per tentare di liberarsi dal senso di oppressione si accuccia nella vasca da bagno, con un coltello in mano… Alla seconda boa c’è Azzurra, giornalista che da due mesi è anche mamma. “Ho lavorato con la febbre. Ho lavorato a Capodanno e a ferragosto. Ho lavorato a Natale. Ho lavorato con dedizione, impegno, a testa bassa”. E adesso: “Scusatemi se allatto”: la società chiede alle donne italiane di procreare e, appena nati, quei figli sono fastidiosi, intoppi, leve per colpire la fragilità… Alla terza boa c’è Flo, 39 anni di Napoli. La musica, il suo settore, è spietato con le donne: le etichette, dice, scritturano solo una donna ogni dieci artisti. C’era solo una autrice anche fra i primi venti dischi più venduti in Italia nel 2021. Se sei in carriera e scegli (anche) di sposarti, “perdi appeal”. E nel caso restassi incinta, allora diventi “una signora, sei un po’ superata”… Alla quarta boa c’è Concetta, quarantenne che, in un paese al confine fra Lazio e Campania - noto come “il pantano” - è ausiliaria della sosta, contratto stagionale e part-time. Non male rispetto al primo impiego in un bar: undici/dodici ore al giorno per 100 euro a settimana, a passare lo straccio come un robot, fissando il vuoto. Sacrifici che valgono il tempo sottratto ai figli?
In un giorno di maggio del 2022 su tutti i social e, subito dopo, anche sulle testate di news rimbalza lo spezzone video tratto da un evento di moda in cui la stilista Elisabetta Franchi, popolare anche per divulgare il suo stile di vita sfavillante e la carriera partita dal basso, fa un breve discorso. Si parla di occupazione femminile e Franchi dice: “Io le donne le ho messe ma sono anta, ancora ragazze ma ragazze cresciute. Se dovevano sposarsi si sono già sposate, se dovevano far figli li hanno fatti, se dovevano separarsi hanno fatto anche quello. Diciamo che io le prendo dopo i quattro giri di boa. Sono tranquille e lavorano h24”. Reazioni? Tante, indignate, diffuse, dai comunicati ufficiali dei ministeri alle chat di self-help fra amiche. Nasce un hashtag - #senzagiridiboa - e subito dopo questo libro, nel quale il collettivo di autrici racconta storie di donne e lavoratrici che si sono trovate a superare (o si sono incagliate in) una di quelle quattro boe. Storie di vita, sviluppi da un articolo di cronaca, testimonianze raccolte con ostinazione: fra queste, abbondano le vicende che riguardano carriere nei settori culturale/editoriale, così come sono assai presenti esistenze che dal Sud povero di opportunità vedono trasferimenti nostalgici verso le regioni dove l’economia gira un po’ più velocemente (e regolarmente). Un libro, dunque, che potrebbe svolgersi anche fra le pagine di un quotidiano, fra inchiesta e commenti. E che avrebbe meritato un approfondimento più largo, forse anche più realistico, perché le carriere non sono più, e da tempo, così lineari e definitive. Certamente, però, fa bene leggerlo, tutto d’un fiato, e prendere coscienza di quanto sia una questione enorme e di quanto sia, altrettanto enormemente, sottovalutata.